Siamo alla metà del XIV secolo: in circostanze ancora ben lungi dall’essere completamente note, fa la sua comparsa a Lirey (Francia) un lungo lenzuolo di lino recante su di sé l’immagine del volto e del corpo di un uomo martoriato e crocifisso, che il nobile signore locale inizia a esporre dicendo che si tratta del sudario di Gesù.



Quale fu la reazione del vescovo locale? Tutti noi potremmo aspettarci un’accoglienza trionfale di questa reliquia, che non solo avrebbe portato i fedeli a inginocchiarsi di fronte al sudario di Cristo, ma addirittura a poter contemplare le fattezze terrene di Dio fatto Uomo.

E invece no. La reazione della Chiesa fu ben diversa. Il vescovo locale, Pierre d’Arcis, scrisse addirittura un memoriale in cui definiva tutto questo uno “scandalo”, perché quel lenzuolo altro non era che un falso, creato da un ingegnoso artista.

Il papa di Avignone, Clemente VII, ascolta le richieste di Pierre d’Arcis ed emana una bolla in cui definisce la Sindone una pittura.

Siamo, come ho detto, nel 1300. E nel 1300 si dice che la Sindone è falsa. Il caso sembrerebbe chiuso.

E invece no. Dopo poco tempo, lo stesso Clemente VII apporta modifiche alla sua bolla, mitigando in maniera evidente la sua posizione (che poi è la posizione della Chiesa) verso la Sindone, che non è più definita una pittura, ma un oggetto che viene esposto come se fosse “un’immagine o rappresentazione” del sudario di Cristo. La Sindone, come immagine, si può ancora esporre, i pellegrini vengono a vederla da ogni dove, e nel corso dei decenni la devozione per questo oggetto cresce a dismisura.

La Sindone passa ai Savoia, e diventa la reliquia dinastica. Viene esposta ai fedeli, diviene meta di pellegrinaggio per re e imperatori; viene portata a Torino, dove Carlo Borromeo la può venerare. Smette gradualmente di essere un oggetto dei sovrani e diviene un oggetto della Chiesa.

Siamo nel 1898: la Sindone viene fotografata per la prima volta da Secondo Pia, che scopre che l’immagine si comporta come un negativo fotografico. All’improvviso, la Sindone smette di essere un oggetto della Chiesa e diventa un oggetto della scienza.

Secondo Pia ha sbagliato — dicono —, le sue foto non sono realistiche; o peggio, Secondo Pia ha imbrogliato. Le indagini si sprecano, sembra che anche questa volta sia chiaro, come nel 1300, che quando si parla di Sindone si racconta il falso.

Le foto di Secondo Pia sono sottoposte a verifica, si chiamano i notai e gli avvocati, e risulta che non c’è nessun errore. Il caso sembrava chiuso. E invece no.

Siamo nel 1988: dalla Sindone si prelevano alcuni campioni, sottoposti al test del radiocarbonio. L’esito non lascia adito a dubbi: la Sindone è di epoca medievale. La Sindone è un falso.

Negli anni successivi i risultati del C14 vengono messi in dubbio da più parti, non tanto e non solo per l’affinamento delle caratteristiche di questo esame, ma soprattutto perché le caratteristiche della Sindone e le contaminazioni a cui il lenzuolo è stato sottoposto portano a ipotizzare che il risultato sia ben lungi dall’essere esatto.

Il caso sembrava chiuso. E invece no.

La Sindone rimane nel Duomo, e nel 1998 si organizza un’ostensione a cui partecipano 2 milioni di pellegrini, a cui del fatto che la Sindone sia del Medioevo o del I secolo interessa ben poco. Ciò che conta sono quel volto e quel corpo, che in ogni caso rimandano a fatti avvenuti duemila anni fa.

2018: su tutti i giornali esce la notizia di un esame eseguito da Luigi Garlaschelli e da Matteo Borrini secondo cui una parte delle macchie di sangue presenti sulla Sindone sarebbero false. Ancora una volta, riecheggia l’antico ritornello: la Sindone è un falso.

Ma a questo punto, sorge spontaneo un dubbio: se il fatto che la Sindone fosse un falso era già emerso nel 1300, perché siamo ancora qui che ne parliamo? E quel che risulta ancora più strano, è che non ne stia parlando un gruppetto di catechisti in una riunione parrocchiale; ne stanno parlando fior fior di scienziati. E logica vorrebbe che se di una cosa non vale la pena occuparsi, semplicemente non ci se ne occupi.

Invece, dopo più di 700 anni, il mondo è ancora qui che si interroga su questa immagine. Viene il sospetto che forse quel volto e quel corpo non siano archiviabili tanto facilmente.

Se n’è accorto Clemente VII; se ne sono accorti i detrattori di Secondo Pia; se ne sono accorti coloro che hanno eseguito l’esame del Carbonio 14. E sembra che se ne sia accorto anche Garlaschelli, che da decenni nega l’autenticità della Sindone, ma resta il fatto che è ancora lì a studiarla.

Tanti sono gli interrogativi legati a questo oggetto, e forse a molti di essi non sarà mai possibile dare una risposta definitiva. Ma mettere la parola fine sul caso Sindone è qualcosa che ancora non appare possibile fare. Come non è stato nel 1300, nel 1800, nel 1900. Il caso sembrava sempre chiuso. E invece viene il sospetto che non lo sia neanche questa volta.