Il bisogno di “vedere in grande” ha contagiato l’intero sviluppo delle scienze antropologiche e sociali al culmine dell’ultima modernità, in particolare dalla fine dell’Ottocento in avanti. In dialogo con esse, anche la dimensione storica ha cominciato a essere letta in una prospettiva che è diventata “globale”.
I fattori a cui si è fatto spazio si schierano all’insegna della più articolata molteplicità: tutto si intreccia intorno alla scia dell’esperienza umana nel mondo e tutto può tornare a parlarci, a farsi eloquente, mostrandoci gli infiniti frammenti del cammino attraverso cui le civiltà e le culture si costruiscono, evolvono e si lasciano riplasmare nel corso del tempo. Senza l’immersione nella rete delle connessioni che tengono insieme le singole parti della totalità, le conoscenze settoriali si polverizzano. Resta solo l’ossatura scheletrica di elementi tra loro separati, che penzolano nel vuoto senza integrarsi a vicenda nelle griglie di una grande architettura complessa. Ma senza nervature d’insieme, l’edificio della cultura non sta in piedi: senza grammatica e sintassi non può perfezionarsi il logos della parola umana, così come fuori dall’impianto del diritto e delle istituzioni stabilizzate una comunità umana non può sollevarsi al livello dello sviluppo storico maturo. Le tradizioni alimentano i codici di ogni espressione artistica, che non è mai anarchica e autoimprovvisata.
Anche la ricerca filosofica e il senso religioso fioriscono nell’alveo di un destino condiviso fra molti: l’interrogazione sulle strutture ultime dell’essere e l’attrattiva esercitata dal bisogno di scoprire e assimilare significati esaurienti per ogni aspetto che entra a farne parte agiscono come leve che spingono a collegarsi dentro gli argini di una storia comune, dove l’io riconosce la sua identità e si alimenta attingendo al “noi” che lo scavalca, generando un sistema di saperi, un campo dottrinale, l’ordine di una liturgia strutturata, un assetto organizzativo raccolto sotto la piramide dei suoi centri di potere e delle sue gerarchie.
Ogni sguardo storico attuale non può più prescindere da questo incrocio sistematico delle forze plurali che concorrono a dare un volto a ogni paesaggio creato dagli attori umani.
Anche la comunicazione didattica nell’ambito della scuola e i canali di trasmissione delle conoscenze nello scambio culturale della società odierna dovrebbero tenerne conto. La spinta vincente è quella rivolta verso l’approccio multidisciplinare. Ma la dimensione della storia, cioè il senso della dinamicità evolutiva e l’instancabile apertura al mutamento delle forme di vita e degli assetti culturali ereditati, è un fatto eminentemente trasversale. Non riguarda una porzione limitata della realtà conoscibile: investe tutto ciò che può scaturire dall’iniziativa umana e dai quadri dei rapporti sociali.
La storia ha certamente a che fare, come si era abituati a pensare in modo ossessivo nel sistema di istruzione scolastica dei decenni scorsi, con la configurazione istituzionale del potere e con le strategie nelle quali si è calata la difesa degli interessi delle élites di governo che si sono spartite il controllo delle entità politiche degli Stati, al vertice della scala gerarchica della società. Era questo il campo prediletto della vecchia histoire événementielle, stato-centrica e fortemente sbilanciata verso l’alto, criticata già a partire dal primo Novecento dagli storici riformatori della scuola francese delle Annales.
Reagendo alle angustie di una disciplina ridotta a supporto dell’identità collettiva degli Stati moderni, che non hanno avuto remore a sfruttarne l’uso “pubblico” in vista dell’edificazione del buon cittadino, Clio ha riscoperto il suo legame con la strutturazione delle impalcature economiche del lavoro umano, con la gestione dei flussi di scambio e dei traffici commerciali, con la dilatazione progressiva dei servizi finalizzati all’accumulo e alla valorizzazione della ricchezza. Al di sopra degli strati di fondo della “civiltà materiale”, la storia incide il suo marchio vistoso anche al livello della cultura, che nasce dal bisogno di esprimere i significati fondamentali attribuiti all’esistenza nel mondo, dalla ricerca delle risposte più affidabili per ancorarla a una prospettiva di tenuta e di soddisfazione dei bisogni.
Anche le creazioni più alte dello spirito — poesia, letteratura, arte, musica, conoscenza del mondo, religioni storiche, scienza e tecnica moderne — portano sempre inscritti nelle loro fibre i segni dell’innesto nel tempo e nello spazio. E d’altra parte tutto ciò che gli uomini perseguono per dare sbocco positivo al loro esistere nel mondo, oppure mettendosi in ascolto della loro inquietudine e del lamento critico, a volte anche del grido di ribellione suscitato dallo scontro con i limiti e le contraddizioni inevitabili di ogni costruzione umana, ha davanti a sé la strada per riversarsi in una energia potente che investe la realtà e contribuisce a ridisegnarla.
È proprio vero che mai nessuno potrà conoscere chi edificò Tebe “dalle sette porte”, come recita Brecht. Resteranno sigillati per sempre i nomi degli ideatori delle stupende architetture dell’arte romanica e di gran parte delle cattedrali gotiche. Ma senza questi oscuri servitori delle più ambiziose committenze pilotate dai detentori di autorità del passato le loro opere non sarebbero state innalzate. Le merci, il denaro e la forza degli eserciti hanno rivoluzionato il teatro della storia. Ma anche la Divina Commedia e i sonetti di Petrarca, Shakespeare e Calderón de la Barca, Lutero e sant’Ignazio di Loyola, Copernico e Cartesio, Kant, Hegel e Heidegger, Picasso e il futurismo, Einstein e la genetica moderna, gli inventori dei diritti umani e le ideologie politiche di una redenzione via via secolarizzata sono entrati, in modi eterogenei, nel fuoco delle dialettiche con cui l’uomo, nello spazio privilegiato dell’Occidente, è stato capace di imprimere la sua orma sullo snodarsi di un dramma a più voci che interseca ogni piano della realtà.
Da qualunque punto di vista si cominci a guardare, in primo piano emerge prepotente il ruolo da protagonista del soggetto umano. La storia non si può fare da sé, obbedendo all’automatismo di forze cieche che la determinano in modo obbligato, senza scampo. Dietro la vita della politica, del diritto, dell’economia, della cultura, si coglie come motore ultimo che trascina il movimento di ciò che esiste il cuore vivo intorno a cui ruota il mondo dell’esperienza umana: l’io irriducibile della persona. L’io umano si mobilita ed entra in azione in quanto è costretto a misurarsi con le proprie mancanze, i propri insuccessi e i propri errori, nello stesso tempo in cui coltiva i propri multiformi bisogni e si lancia alla ricerca di sostegni in grado di resistere senza deludere.
Partendo da qui l’uomo inventa, costruisce, lavora, struttura norme e modelli, insegue obiettivi, cerca di guadagnare consistenza e sicurezza. E lo fa assimilando il meglio di ciò che incontra sul cammino, tentando strade nuove, piegando alle proprie esigenze quello che si ritrova fra le mani, infine disponendosi a identificarsi con quello in cui crede e ad amare ciò che più desidera.
Non si scade nel sentimentale pre-scientifico. Si ritorna, piuttosto, alla semplicità di un realismo essenziale se si accetta di restare agganciati alla centralità del fattore umano. Si tratta di decidersi con intelligenza e tenacia a documentare l’eccedenza di un primato che “sporge” in modo risoluto dalla somma dei condizionamenti imposti dalle circostanze date e dalla pura disponibilità delle risorse precostituite. Le forze che muovono la grande storia degli avvenimenti epocali, quelle che segnano anche la vita delle strutture e i processi più universalmente condizionanti, sono le stesse che si rifrangono nel microcosmo dell’uomo lanciato alla ricerca del bene per sé e per gli altri che gli stanno vicini; che si sente attratto dalla verità e lascia spazio al fascino della bellezza nascosta dentro costellazioni di parole, di forme, di ideali e di valori ricomponibili senza sosta per l’addomesticamento in chiave umana del mondo in cui si è chiamati a svolgere la propria parte, umile o grandiosa che sia.
Un approccio modernamente umanistico alla realtà complessa della storia è il solo che consenta di non ridurre l’uomo a mero esecutore passivo di ruoli predefiniti dalle forze materiali che definiscono la cornice del suo contesto. Vorrebbe dire pensarlo come un povero ingranaggio di meccanismi che annullano ogni margine di libertà e autonomia, e le sue potenzialità scadrebbero a sovrastruttura inerte su cui si proiettano le ombre di ideologie manipolatorie, al servizio del potere che fagocita e schiaccia. L’uomo può effettivamente abbassarsi a essere unidimensionale, stritolato dagli inganni allucinatori di ogni Moloch tiranno. Può tradire se stesso e perdere la sua ultima dignità.
Ma anche quando rimanesse spogliato di tutto, l’uomo che i “giganti” della tradizione culturale del passato ci hanno insegnato a vedere concepito “a immagine e somiglianza” di un Dio creatore non potrebbe soffocare del tutto la timida fiammella di un riscatto sempre possibile. In catene — fossero pure le catene dorate dell’Ego divinizzato dal pensiero unico del conformismo super-individualista — potrebbe in ogni momento ripartire per lanciare il suo grido e rimettersi all’opera, tessendo i fili di un disegno nuovo e diverso.