Ricostruire la bellezza che l’Isis ha distrutto. E’ il lavoro di Radwan Khawatmi, membro del board of directors della Fondazione Aga Khan Museum, espressione del network Aga Khan, che promuove progetti di ricostruzione dei beni culturali musulmani in tutti i paesi del mondo. Khawatmi è siriano di Aleppo, ma è anche cittadino italiano da più di 40 anni. “Non abbiamo armi, la nostra forza è la cultura” — dice al Sussidiario, dopo avere illustrato il suo progetto al Meeting di Rimini —. “Dove siamo intervenuti l’estremismo è stato messo in un angolo, e la gente sta con noi”.
Perché ricostruire i monumento più importanti di Aleppo?
Pensiamo che attraverso la cultura si possano realizzare progetti, interscambi, conoscenze, così da costruire una maggiore concordia tra i popoli. E’ una missione che portiamo avanti da 35 anni, abbiamo fatto realizzazioni in Egitto, Afghanistan, Iraq, Siria.
Veniamo alla Siria.
Siamo attivi da tempo. Alla fine degli anni Ottanta abbiamo intrapreso la ristrutturazione della cittadella fortificata di Aleppo. Ora cominceremo il restauro del più antico suq di tutto il Medio oriente. Un patrimonio inestimabile, distrutto e poi bruciato dalla furia dell’Isis.
Ci faccia capire di che cosa parliamo.
Il suq Al-Saqatiyya è stato costruito circa 1.100 anni fa, è lungo 12 chilometri, è interamente coperto e ospita tutta l’attività economica artigianale di Aleppo. Abbiamo un’etica molto severa, riconosciuta e approvata anche dall’Unesco. Puntiamo alla ristrutturazione integrale dell’opera al 100 per cento. Attraverso migliaia di foto abbiamo elaborato una mappatura tridimensionale, recuperato e classificato tutte le pietre. Il progetto esecutivo è stato presentato e approvato dalle autorità locali. Tra 15 giorni iniziamo i lavori, nel marzo prossimo consegneremo alla popolazione il suq ristrutturato. Il tutto finanziato dall’Aktc.
Altri progetti?
Il restauro di tutto il centro storico di Aleppo, quasi interamente raso al suolo. Abbiamo inviato 80 ingegneri, interamente mappato la zona, che ha un diametro di 9 chilometri e contiene circa 840 palazzi, per un totale di 9mila tavole tecniche. Un lavoro immenso. Lo abbiamo presentato al governo pochi giorni fa, spero che nel 2019 si possa partire. Sarebbe la più grande opera di ricostruzione post-bellica in tutta la Siria. Poi abbiamo fatto il progetto per il restauro del minareto della moschea degli Omayyadi, anch’esso abbattuto dall’odio cieco del fanatismo islamico.
Fate l’opposto di quello che ha fatto lo stato islamico. L’Isis distrugge, voi ricostruite.
Abbiamo ritenuto, e su questo sono personalmente in totale concerto con il principe Aga Khan, di dare una risposta assolutamente chiara a tutti gli atti di terrorismo deliberatamente rivolti a distruggere la bellezza del patrimonio storico islamico o arabo in generale. Non abbiamo eserciti, la nostra forza è la cultura.
Qual è la risposta della popolazione?
Dove siamo intervenuti l’estremismo è stato messo in un angolo, perché la popolazione ha capito subito qual era l’obiettivo dell’Isis. Quando l’Isis ha occupato Aleppo e dichiarato il possesso della città, aveva tutte le attività economiche che ne facevano parte sotto il suo controllo. Che senso aveva distruggerle? Cancellare la storia araba, islamica, e ripristinarla sulla base di un credo fanatico, solo questo volevano. Ma l’estremismo non può costruire nulla, perché da esso vengono solo morte e distruzione. Dove operiamo, godiamo di un consenso eccezionale, superiore a ogni aspettativa.
Nel momento peggiore della persecuzione anticristiana, lei, musulmano, ha deciso di battezzare suo figlio. Perché?
Nel 2014 l’Isis ha dato sfogo a una violenza impressionante per captare le anime deboli e aumentare un consenso basato sulla paura. Quando tra Siria e Iraq sono stati massacrati i nostri fratelli cristiani e la minoranza yazida, non potevo stare fermo, non rispondere. Ma sono fermamente convinto che solo l’amore e la civiltà possono rispondere alla violenza. E mi sono chiesto: qual è il dono più importante che può offrire un uomo? Da buon musulmano, ho deciso battezzare mio figlio, nel nome di Dio, di Cristo, di Maometto e di Mosè.
Lei è di Aleppo, ma è cittadino italiano da più di quarant’anni.
Ci torno ogni volta che posso. Ma la nostra è una storia di apertura. Quando i nostri fratelli armeni furono massacrati in Turchia nel 1916 per volontà di Atatürk, Aleppo aprì le sue porte a 36mila armeni, poi diventati cittadini siriani. Con loro abbiamo sempre vissuto in pace.
Cosa vuol dire per lei essere siriano e italiano?
La Siria è il mio paese di nascita, l’Italia è il mio paese di adozione. Dietro le mie scrivanie c’è la bandiera italiana e questo mi fa molto onore. Essere italiano è una conquista, non il dono di un ente o di uno Stato. Una conquista della quale sono orgoglioso dovunque io vada nel mondo.
Lei ha restituito alla Siria due porte antiche che si trovavano nel nostro paese, ci racconti come ha fatto.
Si tratta di due porte di basalto del IV e V secolo, appartenevano a una chiesa e facevano parte della collezione privata di una nota famiglia italiana. Ho aperto una trattativa, non è stato facile, come può immaginare, perché ce ne sono solo altre due simili, una al Louvre e l’altra al Museo nazionale di Francoforte. Non è facile che il ministero dei Beni culturali conceda una autorizzazione del genere, ma alla fine ha accolto la mia istanza, era il dono di un italiano di origine siriana alla sua patria ferita. Ho acquistato le porte e la prossima settimana prendono il volo per la Siria. Una andrà a Damasco, l’altra ad Aleppo.
Lo scenario mediorientale non trova pace, quello mediterraneo nordafricano si è complicato. Cosa pensa, da siriano e italiano?
La Francia ha fatto una guerra per accaparrarsi la Libia, la Gran Bretagna ha fatto lo stesso in Iraq, non parliamo degli Usa. L’Italia ha sempre dato la precedenza assoluta ai rapporti umani, sociali, storici consolidati, con la Siria e con gli altri Stati con i quali ha relazioni. Mi riconosco nelle scelte dell’Italia, questo è l’unico messaggio politico che mi sento di dare.
(Federico Ferraù)