Is, Stato islamico, Isis sono le parole più digitate tra il 2015 e 2017 nei motori di ricerca, associate spesso a “terrorismo”. Nel 2018 il calo, l’Occidente di fatto ha sconfitto militarmente lo Stato islamico sul campo. I russi in Siria, gli Usa e gli europei in Iraq. L’Isis scompare gradualmente dalle cronache e sembrano lontanissimi i tempi dei video cruenti girati a Palmira o sulle coste libiche. Ma la sensazione di silenzio (a tratti assordante) che ha pervaso questo 2018 inquieta, perché pare una gigantesca vittoria di Pirro. Lo si evince dalle pagine del libro Il mondo dopo lo Stato Islamico (Paesi Edizioni, 2018) che descrive l’Isis come un’anaconda, a filo d’acqua, che apparentemente  non si vede e non si sente, ma che in realtà si prepara ad una controffensiva in pieno stile militare. 



Le incubatrici di questo fenomeno sono molteplici, come descritto nel libro.  Per citare Giuseppe Morabito (generale dell’esercito e coautore), il Medio oriente rappresenta una “maionese impazzita”, con interessi ed alleanze (Turchia, Arabia Saudita ed Iran) spesso mutevoli e alla lunga pericolose quanto strampalate. Lo Stato islamico ha perso la battaglia con Mosca (e paesi occidentali) ma non ancora la guerra totale: sembra solo attraversare una fase. La guerra in Siria ed Iraq è stata lunga e combattuta pezzo per pezzo, estenuante quanto logorante; l’esatto contrario di operazioni come “Desert Storm”, ma ha pagato in termini di risultati militari. In questo momento infatti attacchi pianificati come quelli compiuti a Parigi (quindi basati su strategia militare) sono da escludere per mancanza di profondità d’organizzazione. 



L’analisi di Stefano Piazza (giornalista e coautore) spezza però gli entusiasmi. Lo Stato islamico, ad oggi, può vantare circa 3 miliardi di capitale che permette al leader Al Baghdadi una clandestinità d’oro (in Pakistan?) e apparentemente silenziosa che però cela la preparazione di un “colpo grosso”, ovvero di un attacco in grande stile e spettacolare. 

Una delle teste di ponte e base logistica di questi futuri attacchi è rappresentata dalla Libia. Secondo Michela Mercuri (coautrice, docente universitaria) la Libia potrebbe diventare incubatrice per combattenti di ritorno e base logistica per gruppi ora antagonisti all’Isis ma che potrebbero cambiare velocemente casacca. Il mix del dopo Stato islamico pare esplosivo e vede nell’Africa uno dei punti cardine. Il continente è ricco di materie prime, da subito spendibili e barattabili al mercato nero. Dalla Somalia all’Africa occidentale la radicalizzazione islamica appare sempre più forte e trasversale, una fascia di territorio assai radicalizzato, che sembra solo aspettare l’ordine generale. Al Baghdadi dal suo nascondiglio silenzioso muove i tentacoli dell’organizzazione con modalità discrete ma efficaci, in questa che pare più una vera e propria “fase due” che una sconfitta. 



Anche il web è terreno di guerra. Il libro dedica un capitolo intero, a cura di Alessandro Trivilini (docente di tecnologie innovative, coautore), allo scontro virtuale, spiegando tecniche d’adescamento, propaganda, scambio d’informazioni.

Il futuro appare quindi colorato a tinte fosche. Questo libro analizza uno scenario fondamentale e poco raccontato, ma estremamente più pericoloso, ovvero quello silenzioso, della preparazione e della riorganizzazione. I media infatti si occupano del fatto eclatante, rumoroso, questo libro invece analizza l’esatto opposto. L’Occidente dovrà fare prima o poi i conti con questi 25mila (stimati) combattenti di ritorno, addestrati all’odio, non integrabili e violentissimi nel combattimento, e lo dovrà fare sul proprio suolo. Nel frattempo in Africa, Asia e Medio oriente si combatteranno altre battaglie in attesa di quella risolutiva che non s’esclude possa essere sul territorio europeo. Una marea d’odio che in questa fase pare tramare nell’ombra, o se preferite a pelo d’acqua, pronta ad utilizzare le proprie fauci verso di noi come una gigantesca anaconda