Anche quest’anno l’Accademia di Brera ha aperto le sue porte e, in una Milano accaldata con molti milanesi ormai partiti, gli studenti che presenziano gli spazi espositivi sono da lodare. Al piano terreno dell’Accademia si possono ammirare nelle diverse aule i lavori selezionati degli allievi nelle varie discipline. La mostra sarà aperta fino al 10 agosto e merita di essere visitata per almeno due ragioni. 



Primo, perché si ha la possibilità di riscontrare in prima persona quello che fermenta nel campo artistico emergente non dal punto di vista economico ma dal punto di vista puramente espressivo. Cosa sente e come si esprime la nuova generazione, forse non ancora soggetta alle logiche di mercato? Se l’arte, come espresso da Carl Gustav Jung, cattura quello che dall’inconscio collettivo sta per affiorare nella coscienza, visitare la mostra ci dà la possibilità di vedere attraverso una lente di laboratorio quanto sta accadendo nella società. Data la dimensione internazionale di Brera, che attira molti studenti stranieri, soprattutto asiatici, possiamo percepire quello che avviene anche in altre culture seppur filtrato dall’esperienza italiana. 



La seconda ragione per visitare la mostra è perché si ha la possibilità di parlare con gli studenti delle opere esposte e del ruolo dell’arte oggi. Quante volte visitando musei moderni e gallerie abbiamo l’opportunità di dialogare con gli artisti? Ho chiesto ad alcuni studenti la motivazione di questa scelta di studi e uno di loro mi ha ricordato la necessità impellente di esprimersi. Commentando a proposito, ha parlato di un suo compagno per il quale questa insoddisfazione espressiva è ancora più estrema, portandolo a un lavoro incessante, fin quando la scintilla interiore prende forma. È rinfrancante sentire tale affermazione da un giovane, a ricordarci come l’enfasi sui risultati a breve periodo non predomini sempre. Un altro studente ha riposto alla stessa domanda, dicendo che l’arte è il cambiamento, l’ascolto di questa voce che ci porta a sperimentare e a far nascere qualcosa di diverso.  



Come durante la mia visita della previa edizione 2017, anche quest’anno mi hanno colpito tante opere. Ho trovato molti lavori degli studenti cinesi, presenti nelle varie sezioni e persino in un’aula interamente dedicata, molto forti ma anche cupi. Non si rimane indifferenti dinanzi ad essi, ma non si può fare a meno di pensare come la riuscita economica cinese, che seppure ha permesso di strappare dalla povertà una gran parte della popolazione, sia stata pagata, forse, con il sacrificio dell’individuo. L’artista, nella sua sensibilità, non può che risentirne. 

“Latte di mandorle” di Dario Baroli nella sezione Pittura ritrae il mezzo busto di una donna a due terzi di profilo con il braccio esteso. La testa e le dita della mano sono disegnate in ogni dettaglio ma ad unirle vi è solo una linea essenziale. Fra il pensiero, rappresentato dalla testa, e l’azione a metà, espressa dalle dita e non dalla mano intera, cosa vi è?  Come lo studente stesso mi ha chiarito è l’alternanza di pienezza e vuoto che lui elabora. È quanto stiamo vivendo nella nostra società oggi? Infine sono rimasta colpita da come, nell’era della digitalizzazione, a Brera si mantenga viva la ricchezza culturale delle tecniche tradizionali. Si insegna per esempio la realizzazione dei colori seguendo, in alcuni casi, ricette nei libri del Rinascimento come avveniva nelle botteghe d’arte. Allo stesso tempo però, come uno studente mi ha ricordato, sarebbe opportuno introdurre l’insegnamento di corsi di grafica digitale di modo da mantenere l’equilibrio fra progresso e tradizione. In fondo, alla base dell’arte, vi è questa profonda armonia fra le diverse componenti.