L’etimologia non aiuta ad approfondire il significato della parola “onore”; la sua origine è infatti sconosciuta e noi la prendiamo integralmente dalla lingua latina.
Ma il quarto comandamento suggerisce qualche riflessione: “onora il padre e la madre”. Non ubbidisci, rispetta, ama, ma onora il padre e la madre; è facile intuire che obbedienza, rispetto, amore sono componenti, e forse neanche le sole, dell’onore dovuto a coloro che sono all’origine della vita umana. A questo comandamento, e solo ad esso, è unita una promessa: “affinché tu possa vivere felice su questa terra”.
Forse perché è più importante degli altri? Impossibile persino pensarlo. Ma forse Dio, che conosce la sua creatura nobile e riottosa, sa come le sia difficile il sentimento profondo di non essersi fatta da sé, ma di dovere la sua esistenza e la sua nascita da una generazione operata da altri.
L’onore dovuto al padre e alla madre contiene dunque il pensiero dell’origine della vita, decisivo per la relazione buona con se stessi, gli altri e le cose e dunque per un cammino sereno nei brevi anni concessi a ogni uomo. Se si insinua nell’animo un turbamento in questo rapporto fondamentale, esso avrà una risonanza in ogni relazione che l’uomo instauri.
Un esempio molto luminoso è quello che dà san Francesco di Assisi. Non che la sua vita sia stata lineare, tra giovinezza dissipata e abbandono della casa e dei beni paterni per servire l’unico vero Re. Ma non è un caso se ai primordi della letteratura italiana vi sia il suo “Cantico delle creature”, in cui si respira la pace e la letizia con la creazione e con gli uomini. L’apertura contiene la parola della quale ci si sta occupando:
Altissimo, onnipotente, bon Signore
tue son le laude, la gloria, l’honore et omne benedictione,
in uno sguardo verso l’alto che raramente viene notato dai commentatori come criterio di ogni fratellanza con il mondo terreno.
Questo rinvio a qualcosa di oltre è presente, se ben ci si avvede, anche nel linguaggio comune: il giro d’onore per gli sportivi, gli onori militari, l’onore delle armi, la laurea honoris causa, l’onorario di un professionista, a onore del vero, onorare un debito, fare gli onori di casa, l’onore degli altari, posto d’onore, per citare solo alcuni dei modi di dire, forse desueti, ma ancora presenti nella lingua colta.
C’è sempre il riferimento a una eccellenza, a qualcosa che supera la medietà dell’agire e tocca una corda del cuore e lo volge verso l’umanità compiuta. Non a caso Dante ripete la parola onore ben sette volte nel canto in cui celebra la grandezza degli antichi raccolti nel Limbo, quelli che come Virgilio, vivono nel desiderio senza speranza.
“Orrevol gente possedea quel loco“,
“O tu ch’onori scienza ed arte“,
“L’onrata nominanza che di lor suona su nella tua vita“,
“Onorate l’altissimo poeta“,
“fannomi onore, e di ciò fanno bene“
“e più d’onore ancora assai mi fenno“,
“Tutti lo miran, tutti onor li fanno“.
Gli spiriti grandi dell’antichità non sono salvati, ma Dante li pone nell’unico luogo luminoso dell’Inferno, un privilegio che celebra la loro ricerca sincera del vero.
L’onore è dovuta alla magnanimità, all’animo che si applica a grandi cose, non pago della meschinità della vita. E anche se la sola magnanimità non salva, tuttavia il medioevo cristiano la riconosce e noi tutti dovremmo imparare a renderle lo stesso onore nei nostri tempi complicati e spesso stanchi.