Il 6 agosto del 1978 la morte di Paolo VI dava il via libera al cosiddetto “anno dei tre papi”: Giovanni Battista Montini lasciava il posto ad Albino Luciani che, con la sua scomparsa dopo soli 33 giorni, apriva le porte al grande pontificato polacco di San Giovanni Paolo Magno. Anche Montini sarà canonizzato il prossimo 14 ottobre; il sacerdote di Brescia è spesso citato come riferimento morale e ideale di papa Francesco e questo ha imposto agli storici un supplemento di riflessione su una figura giudicata di passaggio, mente invece è stata determinante e significativa per l’evoluzione stessa della presenza della Chiesa nella società. Paolo VI è essenzialmente un educatore, un uomo che ha rifiutato i metodi della politica ecclesiastica e civile per abbracciare l’uomo così come si presenta nella storia, certo che Dio non sbaglia mai quando crea i suoi figli, desideroso di incontrare e ascoltare tutti.
Montini era però lungimirante e profetico quando affermava che il compito della Chiesa nel futuro sarebbe stato anzitutto quello di ristabilire una sorta di simpatia con l’umanità, facendo della moderazione, e della capacità di incontrare il prossimo, il tratto distintivo della propria rinascita intellettuale ed educativa.
In questo grande affresco, Paolo VI ripristinava la figura del Papa come monarca assoluto, legittimo interprete del nuovo corso a cui, secondo le intenzioni del Pontefice, dovevano soltanto essere corrette alcune storture programmatiche iniziali, lasciando al successore di Pietro campo libero per l’incontro con i popoli. La cifra di questi ultimi quarant’anni, l’eredità di Papa Montini, è tutta in quel senso di drammaticità e tristezza che ne accompagnarono gli ultimi periodi: le forti prese di posizione elaborate dall’Humanae vitae in termini di contraccezione e famiglia gli valsero molte polemiche e molta solitudine; la profeticità di un testo come quello dell’Evangelii nuntiandi poteva essere capito solo col tempo e con quell’esperienza di missione che il testo stesso proponeva a tutti come verifica della fede di ciascuno.
Al di là di questo, Montini fu fino in fondo un amico che, sulla sedia gestatoria, officiò le esequie di Aldo Moro, uno dei ragazzi cresciuti insieme con lui ai tempi della Fuci in università. È forse in questa icona che è possibile comprendere tutta la forza del personaggio di Paolo VI: un’anima drammatica improntata a riallacciare i fili della fede con quelli dell’umanità. Il Papa triste, Paolo mesto come veniva malignamente apostrofato in Vaticano, aveva chiaro che la Chiesa, se avesse voluto sopravvivere a se stessa, avrebbe dovuto uscire dalla propria autoreferenzialità e farsi cambiare dalla storia, dallo Spirito di Dio presente nel tempo. Fu proprio per queste cose che Montini non venne capito, fu per questo tardo e timido tentativo di risposta al Sessantotto dentro la Chiesa che venne sempre visto come un alieno, un estraneo. O forse come un uomo che, con le sue parole e i suoi gesti, parlava semplicemente al domani.