Marta Cartabia e Luciano Violante sono in libreria con Mito e Giustizia. Con Edipo, Antigone e Creonte per indagare i dilemmi del diritto continuamente riaffioranti nelle nostre società (Il Mulino, 2018).

L’onore di aprire le danze con Edipo come ballerino d’eccezione spetta a Marta Cartabia, in un movimento che risulterà preparatorio anche per il testo conclusivo su Antigone di Luciano Violante.



Cartabia presenta Edipo sotto una nuova luce che lo rivela diverso dall’ossimoro vivente tratteggiato dalle antologie liceali: il parricida incestuoso e innocente ad un tempo, “l’empio più famoso dell’antichità” precisamente perché privo della volontà di peccare, il sovrano e l’uomo retto travolto dall’onnipotente (e malevolo) fato. Per Cartabia Edipo è invece un soggetto che nella sua dimensione privata come in quella pubblica è imputabile e pertanto libero, o potenzialmente tale. Un soggetto che avrebbe potuto valutare diversamente le situazioni circostanziali della propria esistenza e fare di conseguenza altre scelte. Cartabia libera Edipo dalla tragicità statica della ananke per introdurlo nel dramma delle vite comuni, dove la sorte di ciascuno non è già scritta (o predetta) fin dall’inizio, dove anche le leggi non esistono da sempre, ma richiedono una continua, paziente, e non di rado ardita, costruzione.



Il nesso tra libertà e imputazione è stato indagato a fondo da Hans Kelsen (Cos’è la Giustizia. Lezioni americane, 2015) dove l’illustre costituzionalista e filosofo del diritto ribalta il canone tradizionale: gli uomini non sono imputabili perché liberi, ma sono liberi perché imputabili. L’affermazione di Kelsen significa che soltanto il soggetto che riuscirà ad imputare a se stesso i propri errori potrà liberarsi (quanto ragionevolmente possibile) dal loro malefico influsso. Mentre se ne resterà soggiogato, trincerato in un’ottusa sicurezza di sé (oppure in un’altrettanto ottusa disperazione), evitando accuratamente la ferita del narcisismo che il riconoscimento del proprio errore e della propria ingenuità comporta, manterrà la propria esistenza sotto il regime dell’onnipotente fato. Il principio di imputazione è un pilastro della vita giuridica dei singoli come della comunità politica che un autore come Giacomo B. Contri ha valorizzato trasportandolo all’interno della psicoanalisi, assumendolo come criterio diagnostico e prognostico: una fondamentale precondizione della cura che (quindi) sarà possibile solo per quel soggetto in grado di imputarsi almeno una quota parte del proprio stato di malattia.



L’imputazione maggiore che Cartabia rivolge a Edipo come figlio, padre, governante, inquirente e giudice, riguarda la superbia: la hybris. L’eccesso di sicurezza sta alla base di tutte le sviste che impediscono a Edipo l’accesso alla virtù della prudenza, senza la quale non c’è giustizia e senza la quale anche l’applicazione rigorosa della legge diviene paradossalmente ingiusta. “Occorre ascoltare prima di agire, reagire, giudicare e decidere”, è il monito che Cartabia rivolge all’eroe tragico di Sofocle e per suo tramite all’uomo del XXI secolo, al comune cittadino come ai rappresentanti delle istituzioni e ai professionisti della giustizia. Un monito che vale anche quando è il soggetto ad ergersi a giudice di se stesso, come accade emblematicamente nel caso di Edipo.

La connotazione sessuale dell’interlocutore diventa subito rilevante nel contributo di Luciano Violante, perché “una donna nella Tebe di Creonte come nell’Atene di Sofocle non ha soggettività giuridica, né politica”. A dispetto di questo immeritato handicap la voce di Antigone si è imposta alta e decisa nei secoli: George Steiner nel suo saggio senza tempo Le Antigoni (1984) ne ha contate (e commentate) oltre 1530 versioni. Decisamente meno prestigiosa è stata la fortuna letteraria, teatrale e cinematografica di Creonte di cui Violante offre una concentrata e competente rassegna. Con pochissime eccezioni Creonte è rappresentato come tiranno “dispotico e vanaglorioso” quando non come simbolo di un’ottusa supremazia maschile. Un paradigma che l’autore ribalta fin dalle prime righe del suo saggio sul delicato equilibro tra potere e giustizia, proponendo Creonte come simbolo illuminato del governo della cosa pubblica. Una chiave di lettura attualissima in un’epoca dove il potere, sempre più in crisi, sembra necessitare di nuova linfa e nuove legittimazioni.

Creonte è il propugnatore delle nuove leggi della polis che si affermano sui vincoli di sangue incentrati sui legami di parentela, idealizzati come divini da Antigone. Violante non manca di ricordare che “evidentemente Sofocle parteggiava per la conservazione delle antiche usanze, contro la modernità della città-stato, che Creonte propone e cerca di proteggere fino all’ultimo”. Continuamente in bilico tra “verginità e sterilità” l’ideale antigoneo si propone come traguardo sempre irraggiungibile che condanna il potere ad una impossibile rincorsa. Antigone è titolare di una critica che non sa (o non vuole) tradursi in una proposta politica. La sua posizione fonda “l’opposizione di principio al servizio da rendere all’altro” e alla comunità, secondo l’espressione con cui Lacan negli anni 70 anticipava l’antagonismo sociale. È la maledizione delle opposizioni per partito preso alle quali l’autore ricorda, citando lo stesso Sofocle, che “solo nell’esercizio del potere si è in grado di valutare gli uomini”.

Per Violante Antigone e Creonte dovrebbero essere una coppia inscindibile chiamata a rappresentare lo stato di fatto del diritto e il suo costante oltre, ma l’auspicio dell’autore va deluso per il rifiuto di Antigone ad ogni mediazione. “Antigone — scrive ancora Violante — senza Creonte è una suffragetta (che) non considera le dinamiche e i conflitti del potere, (e) non entra neanche nelle ragioni del dissenso. Creonte costringe a considerare i problemi del governo e del potere e a cogliere l’effetto dissolutore della polis che la pretesa di Antigone contiene”.

Se l’imputazione a Edipo da parte di Cartabia è stata la hybris, quella ad Antigone da parte di Violante è sicuramente la purezza. Un ideale che rappresenta la morte di ogni legame vitale (Antigone ha legami solo con i morti). Ma tale ideale non potrà essere vinto da nessun Creonte (per quanto illuminato), solo ad Antigone spetta il diritto di abrogare i principi della sua fallace costituzione come individuo e cittadino. In altre parole, solo lei ha il potere di buttare alle ortiche i propri princìpi, non prima di averli sottoposti a una critica serrata, scoprendone la penalizzante sterilità. 

È il privilegio della psicoanalisi: affidare la critica dei fallaci presupposti individuali al pensiero (personale) di chi vi si è, anche con il concorso di altri, intrappolato.