L’autobiografia del cardinale Angelo Scola (Ho scommesso sulla libertà, Solferino 2018) non può essere contenuta di una singola recensione. Ne servirebbero parecchie: tante quanti sono i percorsi della “scommessa di libertà” raccontata dall’autore, protagonista della sua lunga conversazione con Luigi Geninazzi.
Una gioventù lombarda nel dopoguerra italiano. Una vocazione sacerdotale a cavallo del ’68. La partecipazione intensa, a fianco di don Luigi Giussani, alla nascita di Comunione e liberazione. Il cammino di un giovane teologo preso sulle spalle da maestri come Hans Urs von Balthasar e Joseph Ratzinger. Il lavoro pastorale di un vescovo e cardinale a Venezia e Milano al volgere del millennio. La testimonianza ininterrotta — oggi, come arcivescovo emerito — “nella” e “per la” Chiesa cattolica. Ma tutto senza aneddoti superflui, senza divagazioni-amarcord. Tanto meno quando la libertà rigorosa di Scola conduce il lettore dentro due conclavi vissuti dal cardinale non solo da osservatore privilegiato. Oppure quando — nel capitolo forse più intimo — viene rivissuta una lunga sofferenza, con tutti i nomi in fila: coma, psicanalisi, morbo di Addison. E’ libero, Scola, anche quando racconta perché è diventato prete a Chieti e non nel seminario di Milano: senza mancare, purtuttavia, di riconoscere molti anni dopo la paternità del predecessore Giovanni Colombo. Il (sotto)testo del libro è una storia infinita di affezione per la Chiesa, di libertà quotidiana nell’esperienza di fede. Chi ha letto le Ultime conversazioni di Papa Benedetto XVI con Peter Seewald ne ritroverà l’alto ritmo spirituale e l’umiltà definitiva di un’umanità personale. E non c’è soluzione di continuità o giustapposizione fra lo studente che a Friburgo impara dai preti-operai cos’è davvero l’adorazione eucaristica e, poco tempo dopo, lo studioso chiamato al tavolo della rivista Communio, per pensare il cristianesimo dopo il Concilio.
Con la stessa libertà Scola ha presentato il suo libro al Meeting di Rimini nelle stesse ore in cui Papa Francesco pubblicava la sua Lettera al popolo di Dio sulla pedofilia. E quindi pochi giorni prima che il Papa annunciasse importanti decisioni. Anzitutto la convocazione a Roma per febbraio 2019 dei presidenti di 112 conferenze episcopali per decidere assieme. Ma anche la volontà di mantenere — con alcuni avvicendamenti — il cosiddetto “C9”: il consiglio di cardinali istituito subito dopo l’elezione del 2013 per assistere il Pontefice nel ridisegno della Curia romana all’interno della Chiesa. Sbaglierebbe chi cercasse nel libro di Scola riferimenti puntuali — mediatici — all’attualità. Ma sbaglierebbe anche chi non fosse capace di trovarvi riflessioni all’altezza di pastore che mai potrà cessare di sentirsi profondamente coinvolto nella vita della sua Chiesa.
Un’affermazione molto incisiva — come ha già notato Andrea Tornielli — è contenuta in una delle ultime pagine: “Nella Chiesa cattolica chi è cardinale ha il compito di sostenere e accompagnare il Santo Padre. Fino al martirio se necessario, questo è il senso della porpora”. E’ anche per questo che — Scola lo ricorda — durante i suoi sette anni a Milano, in Duomo si sono alternati molti cardinali a parlare: da O’Malley di Boston a Tagle di Manila. Cardinali che Papa Francesco tiene molto vicini in anni in cui, annota Scola, “i problemi della Curia che si è trovato ad affrontare Benedetto XVI sono rimasti sostanzialmente gli stessi con i quali sta facendo i conti Francesco”.
La difesa e la promozione della vita sono principi “non negoziabili”? “Secondo Papa Benedetto XVI, quando sono in gioco contenuti morali che riguardano la dignità della persona in quanto tale e dunque non possono essere sminuiti o cancellati. E’ un’affermazione giusta e sacrosanta, che mi trova perfettamente d’accordo nella sostanza, anche se — osserva il cardinale — preferisco parlare di principi irrinunciabili. Il termine ‘non negoziabile’ può infatti introdurre l’idea che la Chiesa è chiusa al confronto”. Aggiunge Scola: “Con il passare degli anni ho maturato una concezione più sfumata riguardo l’intervento della Chiesa nella società plurale. Penso che oggi sia molto arduo mostrare la convenienza della posizione cristiana se non è accompagnata dalla testimonianza (…). Per fare un esempio: è attraverso la testimonianza della bellezza della vita famigliare e della pienezza del mistero nuziale che i cattolici dimostrano di aver qualcosa di decisivo da dire a proposito delle unioni civili e del cosiddetto ‘matrimonio omosessuale'”.
Ma con Papa Bergoglio — un “papa inedito” — siamo di fronte a una netta rottura con il passato? “Quando Papa Francesco dice di non condividere l’espressione ‘valori non negoziabili’ e si astiene dal lanciare grandi battaglie in difesa della vita o della famiglia, non significa che non li abbia a cuore. Semplicemente mostra una diversa gerarchia. Basta andare a vedere tutte le sue prese di posizione, anche recentissime, contro l’aborto o le sue dichiarazioni sulla ‘colonizzazione ideologica’ della teoria gender o il suo deciso e commovente intervento sul caso del piccolo Alfie Evans. O il fatto che non ripeta tutti i giorni gli insegnamenti tradizionali della Chiesa non significa che sia cambiata la dottrina!”.
Piuttosto, a proposito dei forti accenti del magistero corrente su giustizia sociale, accoglienza degli immigrati e cura per l’ambiente, “credo che Papa Francesco sia convinto che nelle società ultrasecolarizzate del nostro tempo è bene riproporre tutta la scala dei principi irrinunciabili, dando più spazio a quelli sui quali c’è più attenzione e sensibilità, al fine di provocare una conversione dei cuori che consenta di promuoverli tutti. Mi sembra che il Papa, rispetto ai suoi predecessori, abbia scelto un’altra strada, non sul piano della sostanza ma sul modo di proporla. Vedremo se avrà più successo!”.
Quando l’intervistatore incalza su lodi e critiche al Papa, il cardinale non elude: “Se c’è una cosa che accomuna molti detrattori e anche molti ammiratori di Papa Francesco è lo squilibrio del giudizio. Coloro che lo guardano con diffidenza o addirittura lo sospettano o addirittura l’accusano apertamente di favorire posizioni ereticali, sono fuori dalla realtà. Ma anche coloro che lo esaltano come il Papa che cerca di riportare la Chiesa a vivere in modo evangelico dopo pontificati segnati da chiusure e trionfalismi gli fanno un pessimo servizio”. Per questo Scola dice di “sentirsi in particolare sintonia con il Papa per l’insistenza sulla categoria dell’incontro come decisiva per il credente”. E quando Francesco, all’inizio della Evangelii Gaudium ripete Papa Benedetto nell’affermazione che “all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea bensì l’incontro con un avvenimento e con una Persona”, Scola non può che registrare “una stretta continuità fra Francesco, Benedetto XVI e San Giovanni Paolo II che da molti invece viene negata”. Tanto che, il cardinale lo sottolinea con molta nettezza, “Benedetto XVI ha lottato con grande energia contro la sporcizia nella Chiesa, ha preso provvedimenti, ha cercato di cambiare le cose. Penso alle decisioni che ha messo in atto riguardo i preti accusati di pedofilia e all’ammissione di colpa che ha espresso con parole forti e inequivocabili in più occasioni, per esempio nella lettera ai vescovi d’Irlanda”.