Bisogna lasciarsi prender per mano da Marko Ivan Rupnik, fidarsi della sua sapienza, della sua esperienza di artista, teologo, sacerdote, per leggere con lui l’arte spirituale e riprendere a capire la Bellezza al di là della pura estetica. Rupnik è autore e protagonista de “La Santa Bellezza”, una proposta coraggiosa, nuova, per queste domeniche d’autunno, in onda su Tv2000, realizzata con tecniche innovative di ripresa e montaggio dalla Road television. Il gesuita, maestro del mosaico, con la bottega da lui fondata e curata del Centro Aletti, ha riempito di mosaici le chiese di mezzo mondo, dalla cappella Redemptoris Mater in Vaticano al santuario di padre Pio a San Giovanni Rotondo, dall’ultimo convento della sua Slovenia alla basilica in Amazzonia. Seminando non solo opere belle, ma che aiutano a pregare, ad entrare nel mistero di Dio.
Prendete uno dei monumenti più suggestivi di Roma, il mausoleo di Santa Costanza: la figlia dell’imperatore Costantino, innalzata agli altari dopo la morte e la conversione del padre, fatta cristiana, cooptata nel pantheon dei santi, ancora assimilati agli dei pagani. E’ una struttura poderosa, sontuosa, ardita, con la cupola che dal foro centrale illumina il sarcofago. Ben presto sostituito con l’altare, per una chiesa decorata con mosaici tra i più antichi dell’arte cristiana che ancora si muoveva incerta tra passato e presente, tra clandestinità e fulgore. Cristo è ancora imberbe, biondo e bello come Apollo. San Pietro tiene la chiave, non le due chiavi con cui l’iconografia lo rappresenterà, perché trono e altare non andavano ancora insieme, e all’Apostolo era stati affidato da Cristo il potere spirituale, non temporale. Immaginate di vedere sulle nicchie, sulle pareti, sulla cupola, sul pavimento di questo luogo denso di storia e di mistero opere d’arte, capitelli, sculture, dipinti che attraversano tutto l’arco della storia sacra. Immaginate prender vita in una chiesa la Nike di Samotracia, il Discobolo, i dipinti delle catacombe e poi di Giotto, Raffaello, fino a Gauguin.
Padre Marko ci guarda intensamente, ci parla e da solo, muovendosi in uno spazio che si allarga alla storia, al mondo, spiega da teologo e da artista quale sia lo scopo dell’arte spirituale: che deve aprire, introdurre a Dio, non bastare a se stessa. La modernità ha posto il suo centro sulle idee, la scienza, la legge. L’arte, come tramite per l’Assoluto, è sempre meno importante, e noi abbiamo perso la capacità e il gusto di saper leggere le opere d’arte con cui gli artisti hanno letto il reale. I nostri padri vedevano in un bassorilievo le storie della Bibbia e dei vangeli, sapevano riconoscere i simboli, i segni.
Poi gli artisti hanno iniziato a rappresentare se stessi (l’uomo al centro!) e l’arte religiosa si è affidata alla committenza. Grandissimi nomi e opere splendide, che abbiamo conosciuto come capolavori. Ma davanti ai quali non ci si ferma a pregare. Rupnik sottilmente provoca, perché è troppo colto e aperto per non riconoscere la tensione di ogni epoca al Mistero, alla santa Bellezza. Ma la sua lettura è un respiro per l’intelligenza e per lo spirito: porta a un livello alto lo sguardo, ci costringe alla fatica di capire, di stupirci e servirsi dell’arte come strada per approfondire chi siamo, e il nostro bisogno insopprimibile del divino. Di più: è un messaggio all’Europa, per irrigare le sue radici, e le radici devono far fiorire nuovi frutti, per essere vive.