Non fu un miracolo, dicono e scelgono come titolo per il loro libro sull’intervento straordinario nel Mezzogiorno Enzo Scotti e Sergio Zoppi (Non fu un miracolo: l’Italia e il Meridionalismo negli anni di Giulio Pastore e Gabriele Pescatore. Testimonianze e riflessioni, Eurolink Editore, 2017). Non fu un miracolo perché l’infrastrutturazione e poi l’industrializzazione della parte arretrata del Paese furono pervicacemente volute e perseguite da un gruppo di persone – i ceti dirigenti dell’epoca – che non lesinarono in sacrifici, sforzi, competenza.



Il volume – che varrà agli autori il premio per la saggistica del Sele d’Oro – mette sotto osservazione gli anni che vanno dal 1958 al 1968: un decennio caratterizzato in particolare dalla collaborazione tra due figure molto diverse eppure incredibilmente affini tra loro: il ministro per il Coordinamento degli interventi al Sud, Giulio Pastore, e il presidente della Cassa, Gabriele Pescatore.



Fiero operaio genovese il primo, fine giurista avellinese il secondo, i due sembravano fatti per non capirsi, tanto lontani erano i mondi che li avevano generati e catapultati sulla scena pubblica. Eppure, nonostante le iniziali diffidenze e i suggerimenti di consiglieri premurosi, l’appena insediato ministro decise di confermare nel delicato incarico il brillante burocrate che vi aveva trovato. Perché, spiegò ai suoi che miravano a un avvicendamento, se vuoi davvero cambiare nel lungo termine hai bisogno di stabilità nel breve.

Insomma, a formare la coppia che più di altri ha lasciato il segno sugli anni gloriosi della crescita economica e sociale del Meridione fu una fortunata miscela a base di realismo e fiducia reciproca. Non fu un miracolo, ma una scelta consapevole.



Non furono facili quei tempi come non sono facili tutti i tempi in cui si progetta e vive una grande trasformazione. Da eminentemente agricola l’Italia era diventata industriale. Ma solo nella parte alta dello Stivale, perché in basso si viveva ancora secondo strutture, abitudini e schemi del secolo precedente. Non c’era energia, mancava l’acqua, delle nuove fabbriche nemmeno l’ombra.

E allora, dietro la spinta americana del Piano Marshall, uomini integri e saldi nella loro convinzione di essere stati scelti per servire lo Stato e non i propri interessi si mettono all’opera per passare dalle parole ai fatti. Lasciano da parte differenze e diffidenze per servire l’idea che hanno deciso di sposare: fare del proprio Paese un posto migliore per vivere e prosperare in pace.

Di errori ne furono commessi. Nessuno lo nega e nemmeno lo fanno Scotti e Zoppi, protagonisti giovani ed entusiasti di quell’epoca. Ma solo chi non fa non sbaglia e il risultato di quel fare è oggi sotto gli occhi di tutti. Se il Mezzogiorno è entrato nella modernità lo si deve a quelle intelligenze, a quelle riforme, a quelle risorse, a quegli investimenti, a quella politica.

Il volume non ha pagine ma solo poche parole per un parallelo con la situazione di oggi. Pensiamo che il mondo sia nato da noi, si legge quasi come in parentesi. Non riusciamo a dialogare con gli altri perché siamo reciprocamente ignari della nostra identità e dei nostri valori. E così siamo pericolosamente indecifrabili e quindi inaffidabili a noi stessi oltre che agli altri.

Nessuno chiede miracoli. Ma un po’ d’impegno e un pizzico d’ingegno, sì.