“L’area della vostra qualificata consulenza non può quindi essere limitata alla soluzione delle questioni poste da specifiche situazioni di conflitto etico, sociale o giuridico. L’ispirazione di condotte coerenti con la dignità della persona umana riguarda la teoria e la pratica della scienza e della tecnica nella loro impostazione complessiva in rapporto alla vita, al suo senso e al suo valore”, aveva detto il Papa nel discorso all’Assemblea generale della Pontificia Accademia per la Vita (Pav) il 5 ottobre 2017. E con questo aveva ribadito la missione di sempre dell’Accademia, ma invitandola a un lavoro più profondo: scoprire il perché della distanza tra buona pratica medica e rispetto della persona che si presenta in vari campi clinici e sperimentali.
Nella lettera all’Accademia, in occasione del XXV anniversario della sua istituzione, appena scritta dal Santo Padre e diffusa il 15 gennaio, il Papa spiega che “Una nuova prospettiva etica universale, attenta ai temi del creato e della vita umana, è l’obiettivo al quale dobbiamo puntare sul piano culturale”. E ribadisce: “La differenza della vita umana è un bene assoluto, degno di essere eticamente presidiato, prezioso per la cura di tutta la creazione”.
Siamo, dunque, su una scia di continuità di pensiero, laddove ai classici temi della Pav si aggiunge l’invito a un approfondimento culturale che chiede di individuare dove soggiaccia il germe della crisi verso il rispetto dell’uomo, dove nasca la perdita della “passione per l’umano” – fino alle sfide della neuroetica e della robotica – che portano “a far pensare che fra il singolo e la comunità umana sia ormai in corso un vero e proprio scisma” che “produce la malinconia di una vita che non trova destinazione all’altezza della sua qualità spirituale”.
E il Papa dà un’indicazione ancora più chiara della direzione in cui si deve identificare questa cesura: il pensiero nichilista che ha attanagliato il mondo e ammorbato l’aria culturale dalle scuole alle fabbriche. Si badi bene, non si tratta di un nichilismo teoretico, ma pratico, che si identifica con dei tratti chiari della vita: “demoralizzati e disorientati, senza visione. Siamo un po’ tutti ripiegati su noi stessi. Il sistema del denaro e l’ideologia del consumo selezionano i nostri bisogni e manipolano i nostri sogni”. Un nichilismo “che si avvale dell’appoggio convinto del mercato e della tecnica”.
I termini “nichilismo”, “mercato” e “tecnica” sono basilari per interpretare il mondo di questo inizio di secolo e il richiamo del Papa. Il nichilismo – per citare il suo teorico principale, Friedrich Nietzsche – è “la mancanza di fine, di un perché”, che alla fine fa sprofondare nell’angoscia.
Come può l’uomo difendere un altro uomo senza un perché? E come negare che il posto degli ideali e dei valori è assorbito dal mercato e dalla tecnica autoreferenziale, l’uno legato all’altra, tanto da far diventare tutto merce, e quello che non è merce tramutarlo in rifiuti, scarti, deiscenze, fino a far diventare scarto l’uomo stesso?
Scrive il Papa: “La soglia del rispetto fondamentale della vita umana è violata oggi in modi brutali (…) L’organizzazione del profitto e il ritmo di sviluppo delle tecnologie offrono inedite possibilità di condizionare la ricerca biomedica, l’orientamento educativo, la selezione dei bisogni, la qualità umana dei legami”. Accettare questo significa accettare una “banalità del male”, come sottolineava la filosofa Hannah Arendt riguardo le tragedie del ventesimo secolo: se finiamo col rispondere non più all’uomo che abbiamo davanti, ma alla mansione o all’ordine che riceviamo, anestetizziamo la nostra capacità critica, diventando automi senza neppure rendercene conto, viviamo una vita aziendalizzata, dove conta solo se quel che facciamo corrisponde alla nostra mansione. L’aziendalizzazione della vita, la banalizzazione di fare azioni solo perché siamo tenuti a farle per mansione, è il moderno volto del nichilismo.
Occorre invece “indirizzare lo sviluppo economico e il progresso scientifico all’alleanza dell’uomo e della donna”, scrive ancora il Papa, cioè a un livello umanisticamente costruttivo, laddove l’umanesimo sia in un amore all’uomo in qualunque momento della sua vita, sia nel rinnovare la nostra capacità di riconoscere l’umano laddove esso per prematuro livello di sviluppo o tardiva perdita di coscienza appare meno visibile.