Caro direttore,
l’ultimo editoriale di Fernando De Haro offre utili spunti a una riflessione sul concetto di reazione. Questo termine a me ricorda immediatamente la terza legge della dinamica: “A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”, principio che può essere esteso all’azione politica. Qui, i tempi e le modalità di reazione sono diversi e meno definibili rispetto al mondo fisico, ma il principio di massima vale. Per esempio, di fronte al sorgere di nuovi movimenti o partiti che, per pigrizia o malcelato strumentalismo, vengono sbrigativamente etichettati come “populisti” o “sovranisti”. Occorrerebbe, invece, approfondire le cause (cioè le azioni di chi ha governato finora) che hanno portato tanti cittadini a queste scelte.
Sotto questo profilo, se le potenze vincitrici nella Prima guerra mondiale non avessero umiliato la sconfitta Germania e avessero aiutato Weimar a uscire dalla sua profonda crisi, forse Hitler e il nazismo non avrebbero avuto la strada spianata. Se l’unità dell’Italia non fosse stata raggiunta ignorando la volontà di gran parte degli italiani, quando non addirittura contro di essi, come nel caso dei cattolici, forse Mussolini non avrebbe avuto il successo che ha avuto. Se la Russia zarista avesse accelerato la sua trasformazione in una democrazia, pur tenendo conto delle sue specifiche caratteristiche, forse i bolscevichi non avrebbero preso il potere. Tutte reazioni nefaste ad azioni non corrispondenti alla realtà dei vari popoli.
Gli esempi di reazione citati furono effettuati a opera di rivoluzionari e, infatti, De Haro mette sullo stesso piano rivoluzionari e reazionari, pur evidenziandone le differenze sostanziali. I primi, sognano il loro “sol dell’avvenire”; i secondi, rimuginano delusi “si stava meglio quando si stava peggio”: espressioni entrambe di un bisogno che non ha avuto risposta adeguata.
Il discorso di De Haro si concentra sui reazionari, utilizzando un significato piuttosto tradizionale della parola: i reazionari sono coloro che “chiedono un ritorno ai princìpi e ai valori della tradizione, all’ordine”. A costoro apparterebbero, se non ho frainteso, i movimenti che si oppongono all’Unione Europea, interpretazione resa lecita dal discorso negativo di De Haro sulla Brexit e dal suo plauso all’Unione Europea che “Fortunatamente si mantiene ferma, non cambia le condizioni e pone il nazionalismo britannico di fronte alle sue stesse contraddizioni”.
Personalmente, arrivo a conclusioni opposte: i reazionari sono i vertici di Bruxelles parossisticamente interessati solo a mantenere lo statu quo, da cui origina il loro potere auto-referente. Sono costoro che vogliono mantenere in piedi, e fuori da ogni discussione, una struttura che sta dimostrando ampiamente le sue notevoli crepe, come moltissimi interventi anche sul Sussidiario sostengono ormai da tempo.
Con la Brexit, il Regno Unito si è limitato a esercitare un diritto previsto dall’articolo 50: la possibilità di ritirarsi da un trattato liberamente firmato, non da un’unione imposta non si sa da chi. Si può anche considerare questa decisione sbagliata, ma le reazioni arrivate da Bruxelles sono state immediatamente di indignazione per “lesa maestà”. Le condizioni conseguenti alle trattative tra Regno Unito e Ue sono state sottoposte al Parlamento britannico, che le ha rifiutate, ma queste condizioni non riguardano solo i britannici, ma tutti i cittadini degli altri Stati membri. Eppure, i vari Parlamenti non hanno potuto discuterne, né – mi risulta – hanno approvato le condizioni che Bruxelles ha sottoposto, o imposto, a Londra.
Difficile non concludere che, comunque sia, l’importante è “non disturbare il manovratore”.
(Dario Chiesa)