Ovviamente una coincidenza, nascere il 21 marzo, primo giorno di primavera e da qualche tempo anche Giornata internazionale della poesia. Ma piace pensare che Alda Merini, che oggi avrebbe compiuto 88 anni, fosse destinata a questa bella condizione, nonostante la vita di sofferenza che ha avuto. Morta esattamente dieci anni fa per un tumore, ha goduto solo negli ultimi anni del riconoscimento che meritava. Poetessa della solitudine, che lei definiva “vuoto d’amore” riferendosi a qualcosa di più grande che ci accomuna tutti, della sofferenza, lei che fu colpita da problemi mentali e passò anni in ospedale psichiatrico, quando ancora erano delle specie di galere. “Sono nata il ventuno a primavera/ ma non sapevo che nascere folle/ aprire le zolle /potesse scatenar tempesta”, scriveva proprio nella poesia Vuoto d’amore. Dopo 18 anni passati entrando e uscendo dal Paolo Pini, l’ospedale per malati di mente della sua Milano, un matrimonio difficile, l’adolescenza con una madre mai amata e autoritaria.



IL PERDONO CI RENDE MIGLIORI

Nonostante i grandi intellettuali, Pasolini per primo, ne avessero sempre riconosciuto il talento, solo alla fine degli anni 80 quando ancora viveva in due povere e sporche stanze a Ripa di Porta Ticinese il suo nome viene conosciuto in giro e così arrivano i premi: nel 1996 il Viareggio, nel 1997 il Procida-Elsa Morante e nel 1999 il premio della Presidenza del Consiglio dei Ministri settore poesia. Grazie alle figlie che le rimasero sempre vicine, Emanuela, Flavia e Simona, è nata recentemente l’Associazione Culturale Alda Merini per  “promuovere, tutelare, approfondire e diffondere la figura e l’opera”. Rimane famoso il cartello sulla sua porta di casa: Non si ricevono giornalisti per interviste, ma casa sua era sempre aperta a chiunque volesse incontrarla. Quel vuoto d’amore lo aveva riempito con una intensa spiritualità e la preghiera: “L’uomo ha fame di un miracolo che gli spieghi la verità. Io credo che Dio sia buono, la fiducia in Dio è per me l’unica fonte di consolazione”. A chi le chiedeva cosa possa renderci più buoni, rispondeva senza esitazione: “Il perdono”.

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