Non è un caso che di tutto quel gruppo sia rimasto vivo solo lui, anche se compiere cento anni (domenica 24 marzo) è un obbiettivo che pochi possono permettersi a prescindere. Lawrence Ferlinghetti non ha mai fatto veramente parte della “Beat generation” anche se paradossalmente è stato lui, grazie al suo fiuto imprenditoriale, a lanciarla nel mondo della letteratura, scoprendo e pubblicando i giovani Jack Kerouac e Allen Ginsberg e tanti altri. Per il secondo affrontò anche un arresto e un lungo processo, in pieno periodo di caccia alle streghe, con la pubblicazione di “Howl”, la celebre lunga poesia che attaccava “il moloch”, il mostro del consumismo e del capitalismo americano con il linguaggio spregiudicato e trasgressivo di Ginsberg.
Ferlinghetti si prese cura di quei giovani poeti e scrittori che stavano cambiando il mondo della letteratura americana, tenendosi però alla larga dai loro abusi, alcol, droga, sesso promiscuo, che a diversi di loro costò la vita stessa. In fondo lui, nato a Brooklyn nel 1919, era e sempre rimarrà un intellettuale colto, politicamente schierato a sinistra o meglio, “anarchico di sistema” come si definiva lui, che ancora oggi considera Pier Paolo Pasolini il più grande intellettuale del ventesimo secolo, e che aveva vissuto una storia personale fatta di fatica e dolore.
Il padre, bresciano, era morto prima che nascesse mentre la madre, franco-portoghese che aveva già cinque figli e non era in grado di mantenerne e crescerne un altro anche per gravi problemi mentali e non solo economici, lo diede in adozione. Visse parte della sua infanzia a Strasburgo con la zia, diventando cittadino del mondo.
Volontario nella Marina militare americana, prese parte al giorno più difficile della Seconda guerra mondiale, lo sbarco in Normandia, vivendone tutto l’orrore e un mese dopo l’esplosione della bomba atomica a Nagasaki era per le strade della città giapponese, esperienza che descriverà come “l’inferno sulla Terra”. Poi l’approdo a San Francisco, città libera e anarchica per natura, dove apre una piccola libreria, il City Lights Bookstore, diventata poi anche casa editrice, e ben presto punto di ritrovo di tutti i poeti beat.
Diventa lui stesso poeta e scrittore, resta nella storia l’incredibile successo della sua raccolta di poesie Coney Island della mente, anche se lui considera Little Boy il suo libro migliore, la descrizione di un secolo, il Novecento, di guerre, massacri, disastri ambientali attraverso gli occhi di un bambino che è destinato a rimanere comunque innocente e avere una visione innocente del mondo.
A Coney Island of the mind comunque, originariamente pubblicato nel 1958, continuamente ristampato, oltre un milione di copie vendute in tutto il mondo, resta la miglior testimonianza del suo stile raffinato e apocalittico allo stesso tempo. Poesie pensate come jam session musicali (incise anche una versione su disco con il Cellar Jazz Quintet) dove viene dipinta l’America reazionaria, quella degli emigranti senza futuro, dove tutto entra in relazione con tutto, il conscio con l’inconscio, la quotidianità con il discorso di Abramo Lincoln a Gettysburg, il grottesco e l’umanità sofferente.
Da un paio di anni non esce più di casa, è quasi cieco, ha molte complicazioni fisiche, ma la sua lucidità mentale è tutta intera e non ha mai smesso un solo giorno di lavorare. In una recente intervista al Corriere della Sera ha detto che “Non credo che il mondo sia stanco di democrazia: ne vogliamo di più, non di meno. Mi piacerebbe vedere un’occupazione di massa della Casa Bianca, una spinta che porti all’impeachment del presidente Trump. E credo che qualcosa del genere dovrebbe avvenire anche in Italia e nelle altre nazioni nelle quali hanno successo i movimenti autoritari”.
Benché quella “sua” generazione abbia cessato di esistere da tempo, il sindaco di San Francisco per il giorno del suo compleanno ha proclamato il “Lawrence Ferlinghetti Day”. Chissà quanti oggi in America sanno che devono alla sua coraggiosa decisione di difendersi da solo durante il processo per la pubblicazione di “Howl”, e alla vittoria in quel processo che riconobbe libertà di parola e stampa, le libertà di cui godono ora.
“Una volta io e Kerouac eravamo seduti sulla spiaggia di Big Sur davanti al Pacifico” ha raccontato. “Mi chiese: ‘Cosa ci sta dicendo il mare?’. Risposi, visto che tutti e due eravamo cresciuti parlando francese, ‘les poissons de mer parlent Breton’ (i pesci parlano bretone, come bretoni erano le origini di Kerouac, ndr). Ecco, in quelle parole c’era il mio essere immerso nella grande beatitude di quel tempo, pur non essendo un beat. Ma ho condiviso quel messaggio, che è stato a lungo la voce centrale del dissenso americano. Un messaggio che resta ancor oggi una valida critica dello stile di vita americano”. Ma in definitiva Ferlinghetti rimane l’uomo che fece di queste tre parole il suo motto di vita: “Mangia bene. Ridi spesso. Ama molto”.