Compie 90 anni uno degli scrittori più geniali del secolo scorso, protagonista della Primavera di Praga ed esiliato dal suo Paese (e dalla sua cultura) non solo dall’Urss ma dall’intera “intellighenzia” comunista opprimente per decenni: Milan Kundera compie oggi 90 anni e non è un pesce d’aprile, ma solo un grande anniversario da celebrare per tutta la cultura e letteratura mondiale. Da quel “L’insostenibile leggerezza dell’essere” scritto nel 1982 di anni ne sono passati, ma per il poeta, saggista, drammaturgo e scrittore nato a Brno i capolavori non si limitarono certo a quella geniale composizione: “Lo scherzo”, “La vita è altrove”, ma anche “L’immortalità” e il più recente “La Festa dell’insignificanza”. Appoggiò in toto la Primavera di Praga per una nuova cultura libera e non più soggiogante l’essere umano: per questo però fu prima costretto ad abbandonare il suo lavoro di docente e poi successivamente, nel 1970, espulso dal partito. Le sue opere furono vietate in patria ma attenzione, anche ben dopo la caduta dell’Unione Sovietica: per lo scandalo che creava il suo capolavoro più importante, “L’insostenibile leggerezza dell’essere” si è dovuto attendere fino al 2006 per vederlo pubblicato anche in Repubblica Ceca. Contro di lui i comunisti, ma anche gli intellettuali del dissenso, sia dentro che fuori i confini cecoslovacchi: vive in Francia da una vita ormai assieme alla moglie Vera. Dal suo appartamento nel Quartiere Latino di Parigi continua a sfornare libri, saggi e idee: «Insieme sono anche fuggiti dall’allora comunista Cecoslovacchia e dalla sua capitale, Praga, nel 1975, sette anni dopo la “primavera di Dubcek”, per approdare subito in Francia, a Parigi, con la conseguenza che il governo del Paese d’origine lo privò della nazionalità nel 1978» raccontava giusto pochi giorni fa La Stampa ricordando il compleanno di Milan Kundera.
MILAN KUNDERA E LA VERITÀ
in una storica intervista pubblicata dal New York Times nel 1985 (a firma Olga Carlisle, ndr) Kundera spaziò nei temi più cruciali della sua epoca che però – riletti oggi – non possono che interessare ancora in maniera incidente: «la polemica tra destra e sinistra? Il pericolo che ci minaccia è l’impero totalitario. Khomeini, Mao, Stalin – sinistra o destra? Il totalitarismo non è né l’una cosa né l’altra, al suo interno queste distinzioni si essiccano. Non sono mai stato credente, ma dopo aver visto i cechi cattolici perseguitati durante il terrore staliniano ho provato la più profonda solidarietà verso di loro. Quel che ci separava, la fede in Dio, veniva dopo a quel che ci univa. Una solidarietà da impiccati». Per Kundera, sempre nell’intervista al Nyt (oggi riportata integralmente dal portale Pangea.news), «la stupidissima battaglia tra sinistra e destra mi pare obsolete e abbastanza provinciale. Odio partecipare alla vita politica, benché poi la politica mi affascini come show: uno show tragico, mortale nell’impero dell’Est – intellettualmente sterile ma divertente qui a Ovest». La genialità di un essere liberato, anche se sempre sofferente per le mancate libertà dei tempi moderni, si intravede anche da una risposta fulminea data sul tema dell’oppressione-censura ad arte e letteratura: «E l’oppressione politica si presenta ancora con un altro pericolo che – specie per un romanziere – è anche peggio della censura e della polizia. Voglio dire: il moralismo. L’oppressione crea un confine fin troppo chiaro tra bene e male e allo scrittore viene la tentazione di mettersi a predicare. Per il genere umano è attraente, per la letteratura mortale. Hermann Broch, il romanziere austriaco che amo di più, ha detto “L’unica moralità dello scrittore è la conoscenza”. Ha ragion d’essere solo un lavoro letterario che riveli un frammento sconosciuto di esistenza umana. Scrivere non è predicare una verità. È scoprirla».