“Notre Drame”, titola oggi il quotidiano della sinistra laica e intellettuale francese, Libération. È un titolo emblematico nella sua sinteticità, al punto che non ha richiesto neanche una riga di sommario. È un titolo che documenta uno sgomento imprevisto. Quel “notre” è la parola che più riecheggiava sui volti delle migliaia di persone che si erano assiepate sulle quai della Senna in un silenzio irreale, con gli occhi puntati su quelle fiamme che incendiavano il cielo di Parigi. Nel momento in cui l’antica cattedrale si piegava sotto l’azione devastante del fuoco, ognuno si è accorto in cuor proprio di come quella struttura antica, magari guardata tante volte con la sufficienza con cui si guardano le scorie del passato, fosse cosa “sua”. E quindi collettivamente “nostra”.



Non cade semplicemente un simbolo. Cade un luogo, una casa che proprio per via di quell’aggettivo in prima persona plurale era una casa nata per aspettare tutti. Magari ci si girava alla larga, magari si sdegnavano le cerimonie e i riti che all’interno anche in questi tempi così disinvoltamente secolarizzati, lì comunque si svolgevano. Eppure quella cattedrale era una presenza di cui era inimmaginabile stare senza. Una presenza necessaria un po’ come la terra sotto i piedi: non si prende neanche in considerazione che possa non esserci. Impossibile pensarsi senza.



Ce ne si è resi conto ieri, davanti a quell’incendio che in poche ore si è mangiato l’antico tetto della cattedrale, quello con gli spioventi a 55 gradi di pendenza, coperti da lastre di piombo e sorretti da quella carpenteria in legno di quercia in gran parte risalente ancora al 1220: “la foresta di Notre-Dame” era stata ribattezzata, per via dei 1300 alberi che erano stati necessari per dotarsi del legno necessario.

È un “notre”, un “nostro” che si è fatto sentimento ancor più forte di fronte all’impotenza ad arginare quel disastro che in diretta e con una velocità inimmaginabile stava divorandosi il tetto e faceva precipitare la grande guglia ottocentesca progettata da Viollet-le-Duc. Non era la cattedrale ad essere fragile, eravamo noi (nel senso di tutti) a scoprirci drammaticamente fragili perché privati della cattedrale. “Notre Drame”, appunto, come con istintiva sincerità e con un imprevisto dolore nel cuore, ha scritto il bravo titolista di Libération, un tipo che con ogni probabilità in “Notre Dame” non aveva messo piede da chissà quanto…