Anche lo splendore del “Canestro di frutta” di Caravaggio rivela nel lieve incresparsi delle foglie il segno della morte. La desolazione del tessuto musicale della “Patetica” di Čajkovskij nel suo ultimo movimento prelude alla fine dell’autore.

Ogni arte, ogni tempo, ogni uomo deve fare i conti con i limiti della natura e di se stesso. Ma semplicemente gli alberi d’autunno, le giornate più brevi, la luce sfumata annunciano che qualcosa sta per finire e la malinconia talvolta accompagna questa percezione di ciò che ci attornia. Pulvis et umbra sumus, diceva Orazio con espressione concisa: siamo polvere ed ombra.



Anche in questo l’uomo è voce di ogni creatura, come afferma la liturgia. E sebbene rifletta sulla ciclicità degli eventi naturali, sebbene assista impotente allo scioglimento dei ghiacciai e ne immagini le conseguenze, non può che guardare con maggiore turbamento alla sua propria fine. Egli sa fin dalla filosofia greca di essere immortale, sa dal cristianesimo di essere destinato alla risurrezione. Sovente lo dimentica, lo nega, vive come se ciò fosse una favola. Eppure non è tutto qui.



All’ombra dei cipressi o dentro l’urne/ confortate di pianto è forse il sonno/ della morte men duro?

Contrariamente a quanto pensava Foscolo, pare che esso sia più lieve, a giudicare dal fatto che il ricordo dei morti particolarmente in questi giorni è rimasto, insieme a un Natale impoverito, l’unica espressione collettiva di una devozione che va oltre l’effimero e riconduce verso la terra dei ricordi, degli affetti e delle nostalgie nei confronti di qualcosa che non passa, di tanti che permangono, invisibili e presenti. Fiori e lumini sono segni di bellezza e di luce e donano alla tristezza dei cimiteri un raggio di vita e di amore.



Eorum vita mutatur, non tollitur: questo insegna la Chiesa. La loro vita non è tolta, ma trasformata e su questa certezza riposa il pensiero del dotto e dell’ignorante, perché questa parola è rivolta a tutti nella sobrietà del funerale cristiano. Ciò che avviene in modo misterioso oltre il tempo, accade ogni giorno per i vivi. Ogni istante racchiude un passo verso la meta e ogni cammino, anche quello più monotono, è cambiamento.

Ma il pensiero della fine e del fine della vita non può che implicare, pur nella distrazione o nel timore, quello del giudizio. C’è una valutazione delle azioni alla quale non si può sfuggire, nel provvisorio oggi, ancor più nell’eternità definitiva. Un abisso o un abbraccio? Sta nel desiderio dell’abbraccio di Dio il criterio serio e dolce dei nostri pensieri e delle nostre opere.