“Alle origini dell’arte” è il titolo suggestivo ed anche ambizioso della mostra in corso a Milano al Mudec-Museo delle culture sull’opera di Paul Klee, uno dei riferimenti fondamentali dell’arte del XX secolo. La mostra, nata da una forte sinergia con il Zentrum Paul Klee di Berna e che rimarrà aperta fino al 3 marzo 2019, pone l’accento sul tema del “primitivismo” dell’artista svizzero-tedesco cioè su quei segni primitivi che hanno influenzato la sua opera, e primitivo per Klee è innanzitutto il periodo paleocristiano (in Italia nel 1901 rimarrà affascinato dai mosaici bizantini) ma anche l’arte delle culture extraeuropee con quella africana in primis. Nell’opera di Klee infatti si trovano rimandi iconografici a quelle civiltà antiche nel tentativo di instaurare un dialogo a distanza. Non è quindi un caso la scelta del Mudec come luogo espositivo, in quanto nella collezione permanente del Museo si trovavano già  manufatti extraeuropei che per l’occasione sono stati rimessi in luce. La mostra è composta da circa un centinaio di opere e divisa in cinque sezioni, una delle quali è costituita dal teatro delle marionette che l’artista aveva costruito per il figlio Felix, a testimonianza dell’interesse che Klee aveva anche per l’età infantile, come altro luogo da indagare per addentrarsi nel mistero della genesi della creatività.



Klee è interessato al mistero della creazione dal punto di vista formale cioè studia le forme organiche — che sono le forme della vita — e le forme della storia e della cultura — per esempio gli alfabeti antichi e moderni. L’interesse per la genesi della forma, la Gestalt, lo porta a studiare i processi e i movimenti attraverso i quali nascono le forme.



Quando nel 1930 sarà invitato da Gropius a insegnare al Bauhaus di Weimar, il suo corso si intitola molto significativamente Teoria della formazione della figurazione.

Esiste un mondo parallelo al mondo visibile, anzi esistono tanti altri mondi possibili di cui quello visibile è appena un barlume, è dunque in questi mondi che bisogna indagare per cercare l’origine della creazione. Ma quali sono le chiavi di accesso?

La prima e fondamentale chiave di accesso che Klee ha scoperto già dai propri genitori (il padre è insegnante di musica e la madre cantate) è la musica; Will Grohmann, in quella che è l’opera fondamentale scritta su Klee ha dichiarato:  “In Klee, la reciproca compenetrazione tra musica e pittura è assai più importante dell’osmosi tra pittura e poesia. Klee era anche musicista. Si ritrovava in una qualsiasi partitura. Non componeva, ma capiva il processo della composizione nei minimi particolari. Era in grado di intendere lo schema di Stravinskij come il sistema dodecafonico di Arnold Schoenberg; Bach, Mozart e Haydn gli erano familiari quanto le liriche di Goethe possono esserlo ai letterati”.



Altre chiavi di accesso sono state la poesia, la letteratura, la storia dell’arte, l’etnografia ma forse la vera chiave di accesso, quella cioè che lo ha introdotto in zone misteriose della realtà è stata una curiosità aperta a 360 gradi che lo rendeva capace di metabolizzare tutto ciò che vedeva e che incontrava.

Da questo punto di vista sono due le esperienze fondamentali: i viaggi e gli incontri. Già nel primo viaggio in Italia del 1901 si accorge di qualcosa di forte che avviene in lui: il primo contatto con la luce del Sud rimarrà per sempre impresso nei suoi occhi. Nel 1912 a Parigi conosce Matisse, Picasso, Braque e Delaunay, e per lui è una fondamentale scoperta vedere dal vero la luce delle opere di Matisse e il modo di comporre l’immagine dei pittori cubisti. Nel 1914 compie il viaggio fondamentale della sua vita: va in Tunisia e vede la luce del Nord Africa. Dirà di Tunisi: “Il colore mi possiede. Non ho più bisogno di inseguirlo. Mi possiede per sempre, lo so. E’ il senso di quest’ora fortunata, io e il colore facciamo un tutto unico. Sono pittore”.

Negli anni successivi e fino alla morte avvenuta nel 1940 a Locarno, tutta la sua opera sarà svolta in un dialogo appassionato con quei mondi invisibili di cui intuiva la positività e soprattutto intuiva il mondo sensibile e l’esperienza diretta delle cose come un segno, cioè come introduzione ad altre esperienze più importanti e più decisive. Nei suoi Diari ha scritto: “Tutto quello che avviene non è che simbolo. Quello che noi vediamo è proposizione, possibilità, espediente. La verità autentica, alla base, in principio è invisibile”. Sulla sua tomba il figlio Felix ha scritto queste parole tratte dai suoi Diari:

Non appartengo solo a questa vita
Poiché io vivo bene coi morti
Come con i non nati
Più vicino di altri al cuore della creazione
Ma non abbastanza vicino.