È stato tradotto in italiano un importante testo di bioetica: Il trattamento del neonato terminale dal punto di vista bioetico (Studium 2018). L’autrice è la professoressa messicana Lourdes Velázquez, docente nell’Università Panamericana di Città del Messico e vicepresidente della Federazione internazionale delle società filosofiche. Il libro aiuta nel percorso delicato, e ancora eticamente non chiaro a molti, che va dalla diagnosi prenatale al periodo dei primi giorni di vita, periodo in cui accade che le cure appaiano non efficaci, che l’ansia per il futuro diventi soverchiante e si debba o si voglia prendere decisioni sul fine vita, se continuare o sospendere o intraprendere dei trattamenti intensivi.



I giudizi della Velázquez sono chiari: “Emerge qui con evidenza la necessità di non confondere, come spesso succede, la nozione di qualità di vita con la nozione di dignità di vita. La dignità riguarda la persona che vive e non il tipo di vita che di fatto è obbligata a condurre e tutti conosciamo casi di vita vissuta con grande dignità sebbene in presenza di grandi disabilità”.



Occorre però, aggiunge la professoressa Velázquez, fare di tutto per evitare il dolore, e questo è compito sia della sanità che della politica, ma mai ricorrendo a scorciatoie che pensano di prevedere un dolore morale solo ipotetico e porgli fine esclusivamente ponendo fine alla vita. Infatti, le “conclusioni qui presentate, oltre a chiarire alcuni argomenti teorici, potranno suggerire idee utili da applicare in contesti più generali come il riconoscimento dei diritti umani, il morire con dignità, lo sviluppo delle cure palliative nelle istituzioni sanitarie, la stimolazione di una coscienza etica in tutto ciò che si riferisce all’inizio e alla fine della vita e l’etica dovrebbe ispirare la politica della sanità pubblica dato che gli obiettivi menzionati non si possono perseguire senza la creazione e il sostegno di strutture specifiche”.



La lotta per rendere il neonato degno soggetto e degno cittadino, al pari di ogni altra tappa della vita, ha ancora diversi passi da fare, come spiegano vari lavori, in particolare fatti dalla canadese Annie Janvier, che mostra bene la svalutazione delle prime fasi della vita nell’opinione pubblica medica rispetto alle seguenti, come se i neonati avessero meno diritti. Eppure anche l’Unicef ha recentemente riconosciuto che i giorni più importanti nella vita della persona sono i primi mille giorni di vita, cioè quelli che vanno dal concepimento fino al compimento del secondo anno dalla nascita: esattamente mille giorni; nei quali, in particolare, l’alimentazione va curata con impegno, tramite l’alimentazione della mamma prima della nascita e poi tramite il buon uso del latte materno dopo il parto.

Il lavoro della professoressa Velazquez è prezioso e apre un quadro che non interessa solo i medici, ma chiunque si occupa del rispetto della vita dei piccoli.