Nella lunga storia della creatività umana ci sono idee nate da alcuni artisti e mai sviluppate, come semi non germogliati, di cui si intuisce però la fioritura. Tale è probabilmente il film incompiuto di Ingmar Bergman, a tema di un breve libro curato da Pia Campeggiani e Andrea Panzavolta (Il Vangelo secondo Bergman, Il Melangolo 2018). La circostanza ricostruita dai curatori è poco nota. A metà degli anni settanta, volendo produrre un film sulla vita di Gesù, alcuni funzionari della Rai volarono in Svezia per chiedere un progetto a Bergman. Non molto tempo dopo il regista inviò un piccolo trattamento. In Rai lessero, pagarono il lavoro, ringraziarono e poi fecero fare il film a Zeffirelli.



Campeggiani e Panzavolta hanno ritrovato il progetto di Bergman e oggi lo ripubblicano. A leggerlo si capisce la ritirata della Rai, né in fondo la si può biasimare. Ciò di cui la tv pubblica aveva bisogno era un’opera come quella di Zeffirelli, pregevole, ma classica. Il punto di vista di Bergman era invece quello di un uomo che vive drammaticamente il suo non essere credente. Egli vede Gesù come “un essere umano che parla agli esseri umani e che vive e muore nel mondo degli uomini”. “La santità di Gesù” scrive ancora nella postfazione del trattamento, “mi brilla negli occhi, ma non mi abbaglia, né mi acceca, perché la sua luce è quella di un essere umano”.



Eppure, al di là della sua eterodossia, c’è un fascino e un’attualità nel regista svedese che traspare anche da questo progetto e sta, come scrivono i curatori, nel suo essere ateo, sì, ma senza essere nichilista. Egli accosta Cristo con un timore (e tremore?) tutto nordico. Sceglie perciò di raccontare le ultime quarantotto ore della Passione, ma dal punto di vista dei personaggi di contorno. Quasi non osasse mettere al centro Gesù, per timore di svilirlo aggiungendo rappresentazioni e immagini nuove, ma in fondo riduttive. Caifa, la moglie di Pilato, l’apostolo Giacomo il minore, Maria, il centurione Rufo, la Maddalena e Simon Pietro: questi sette personaggi, più Giuda, coprotagonista del quadro di Caifa, rappresentano l’umanità che deve prendere posizione di fronte a Cristo. Sono tutti personaggi inconsapevoli del dramma cui prendono parte, della sua enormità e di come quello cambierà radicalmente la loro vita. Siamo noi. Il breve trattamento di Bergman è fatto di pennellate veloci, appena accennate, ma in filigrana si intuisce che egli aveva in cuore un’opera che lo coinvolgeva profondamente.



Carlo Mazzantini, filosofo torinese, sulla scorta del neoplatonismo, spiegò come in Dio tutte le virtualità sono perfettamente compiute. Detto in altri termini, mi piace pensare che esista una stanza, una grandissima stanza, in un palazzo dell’aldilà, nella quale si troveranno realizzate tutte le cose iniziate, ma poi non finite. O se non proprio tutte, quelle che il buon Dio riterrà che sarebbero venute bene. Come il film di Bergman. Sarà bello accomodarsi a vederlo.