Paola Della Chiesa, direttrice dell’Agenzia del Turismo della Provincia di Varese dal 2010 al 2014, accusata di peculato e truffa ai danni dello Stato, dopo due anni vissuti da “indagata” ha visto riconosciuta la sua estraneità ai fatti con una sentenza di non luogo a procedere. Due anni trascorsi sotto la lente d’ingrandimento, vissuti subendo la gogna mediatica, il pubblico ludibrio. 



Il suo calvario, raccontato nel libro Innocente! (Log Edizioni, 2018), nasce da un esposto presentato dal Liquidatore dell’Agenzia, che esaminando le carte contabili dell’Ente rintraccia 33mila euro, frutto della somma dei rimborsi richiesti per spese, che non risulterebbero giustificati nell’ambito dello svolgimento del suo incarico professionale. Dalle carte non vi è contezza del suo reato. Lo si dà per certo. A lei spetta l’onere della difesa, in assenza di prove. Dovrà ricostruire meticolosamente tutto il periodo in questione. Tutte le spese fatte. Tutti i movimenti. Tutti i chilometri percorsi. Un lavoro di tre mesi che riprodurrà un poderoso schema dei suoi spostamenti lavorativi, ricostruendo milleottocento giornate dedicata al territorio, alle imprese e al turismo! Un lavoro folle e titanico.



Sarebbe bastato leggere il suo contratto di lavoro, ascoltare il consiglio di amministrazione dell’Agenzia per evitare persino l’indagine. Ogni tre mesi vi era un controllo stringente su tutti i costi. Il suo contratto da dirigente prevedeva oltre ad un canonico stipendio annuale che le fosse concesso un rimborso per le spese sostenute nello svolgimento del suo incarico. Nessuno nel Cda in cinque anni ha mai eccepito su nulla.

Nonostante questo, il Pm chiede il rinvio a giudizio. Solo che Paola lo scopre dai giornali.

La notizia sconfina oltre la provincia di Varese, diventa news regionale. Si parla di lei come una funzionaria che per cinque anni avrebbe fatto “spese allegre”, come la “zarina del turismo”. Paola si ritrova senza lavoro, con un’accusa infamante che le rovina la reputazione, la carriera, mettendo a rischio anche la sua salute.



Dopo due anni, il Giudice per l’udienza preliminare emette sentenza di non luogo a procedere, ma la ricostruzione della storia di Paola Della Chiesa rappresenta una narrazione esemplificativa di ciò che può accadere ad un cittadino comune, innocente, alle prese con le maglie della giustizia.

Stravolto il principio costituzionale, sancito dall’articolo 27 che sottolinea la “presunzione di innocenza”, caposaldo dell’ordinamento, l’indagato si trasforma in “presunto colpevole” trovandosi nella condizione di dover inficiare una teoria completamente infondata. Il tutto senza valutare i reali fatti contestati e la prassi con cui si è giunti ad essi.

Avulsa da qualsiasi idea vittimista o complottista, questa storia si offre al pubblico come specchio disambiguo, come un Giano bifronte in cui innocenza e colpevolezza appaiono definizioni labili al cospetto della realtà. Quando parte il meccanismo della giustizia è infatti poi difficile bloccare l’ingranaggio, quasi impossibile sottrarsi alla valanga che esso, anche senza volontà, rischia di produrre. L’inversione dell’onore della prova, che trova nei media la sua cassa di risonanza più violenta, travalica le accuse di “carta” per diventare lama tagliente sulla carne delle persone, degli indagati. A farne le spese le carriere professionali, la credibilità pubblica, l’onorabilità civile, ed ancora peggio, in alcuni casi, la salute. Attorno a tutto questo l’ordinamento dovrebbe avviare una pausa di riflessione coinvolgendo a vario titolo la politica, la magistratura stessa, i soggetti incaricati di effettuare le indagini, i giornalisti, gli editori e forse anche i protagonisti che hanno subito malversazioni di vario genere.

Le storie personali, seppur uniche e irripetibili, offrono uno spaccato della realtà che può assumere, come in questo caso, una valenza ed un interesse universale. Un libro deve servire a questo, ad infrangere il muro dell’ovvio, del silenzio, talvolta della paura. Innocente! non è un’invocazione, il pronunciamento di una sentenza e neppure il grido disperato di una donna che ha corso il rischio di rimanere schiacciata da un ingranaggio perverso. Queste pagine raccontano altro. Si offrono a tutti come parole di confronto e conforto, come monito e speranza, fedeltà al vero e alla propria forza interiore.