Amazon ha reso noto che nella classifica degli acquisti effettuati nel 2018 dai neodiciottenni con il bonus cultura, Freud svetta solitario con L’interpretazione dei sogni. E, notizia nella notizia, si è pure piazzato al settimo posto della top ten, infilandosi tra Alessandro D’Avenia, Fabio Volo e Dragonball super 3 con uno dei suoi titoli meno conosciuti: Ossessioni, fobie e paranoia.



La notizia è di quelle in controtendenza e potrebbe far pensare a una rivincita di Freud su una cultura psicologica che lo ama tanto quanto agli inizi della psicoanalisi, cioè per niente. Ma non è così, perché in un ipotetico girone a eliminazione tra Freud e la psicologia, vi chiederete qual è la differenza, Freud è nettamente svantaggiato. Negli ultimi decenni lo scopritore della psicoanalisi ha perso molte partite importanti e, nonostante la classifica di Amazon, non sembra poter raddrizzare la china che l’andamento culturale ha preso a livello globale. Arriverà un tempo, aveva predetto Lacan, in cui sarà necessario dimostrare che Freud sia esistito. Sicuramente in alcune delle facoltà di psicologia – gremite fino all’inverosimile in tutto lo stivale italico – questo tempo è arrivato.



La differenza tra Freud e la psicologia è presto detta: per Freud ci sono gli affetti, per la psicologia (la neuropsicologia, le neuroscienze, ecc.) ci sono le emozioni. Per Freud esiste l’angoscia, per la psicologia (ecc.) esiste lo stress. Per Freud esiste il Padre, per la psicologia la figura paterna. Per Freud quei pensieri notturni e rivoluzionari che chiamiamo sogni sono centrali, invece la psicologia poco se ne cale, come pure dei lapsus. Per Freud l’identità individuale, quella sessuale inclusa, si costruisce (o distrugge) nella relazione con “l’altro dell’altro sesso”, senza alcuna preordinazione deterministica. Mentre per la psicologia i sessi sono tramontati, esistono i generi e l’identità sessuale non è altro che un retaggio genetico. E così via. Recentemente in un’intervista rilasciata a Oscar Giannino su Radio24 in occasione dell’uscita del suo libro Ho scommesso sulla libertà, l’ex cardinale di Milano Angelo Scola ha sottolineato, sulla base della sua esperienza diretta, che non tutte le psicologie sono uguali, né egualmente preferibili. L’elenco incompleto che ho appena fornito è un primo saggio di tali differenze. Scola ha inoltre messo l’accento sulla libertà e sul tempo, evidenziando che una psicologia che non ingerisce nelle libere scelte e non ha fretta, ad esempio di appiccicare un’etichetta al paziente, è certo preferibile ad una che questa fretta ce l’ha.



La sconfitta più cocente che la posizione freudiana ha subìto da quella cultura di cui aveva evidenziato il disagio è stata l’affermarsi della teoria delle emozioni a spese dell’affetto, o meglio degli affetti, visto che sono molti e non tutti dello stesso segno. La curva è cresciuta negli ultimi decenni ed è stata sancita definitivamente dal trionfo di Inside Out (2015), il cartone animato per i piccoli e le famiglie che fornisce l’abbecedario delle emozioni ad uso dei novelli Pinocchio. Che si tratti di una sconfitta storica non c’è dubbio perché gli affetti rappresentano il vertice dell’esperienza umana. Una sintesi plastica e in movimento di corpo, sensazione, pulsione, sentimento e pensiero che potrebbe ricordare un quadro di Balla o Marinetti.

Ovviamente negli affetti le emozioni sono comprese, nel senso che sono incluse, ma soprattutto nel senso che sono conosciute, cioè pensate. Il compito storico che la psicoanalisi si è assunta, a partire dalle tante avventure individuali di chi vi si è cimentato, è quello di traghettare tutto il pacchetto emotivo/emozionale rappresentato dalla serie: emozioni, sensazioni, sentimenti e pulsioni, nelle acque navigabili del pensiero. Gli affetti a differenza delle emozioni non sono semplici stati interni che l’individuo dovrebbe imparare a conoscere, ma sono dei moti del soggetto: dei movimenti – a volte caratterizzati da strappi e da blocchi – verso l’altro (sessuato) che fin dalla nascita ne è la principale fonte esterna. Tali moti affettivi che il soggetto vive nel suo corpo e dunque anche a livello emozionale, possono essere di apertura o di chiusura, di adesione o di repulsione. In altre parole gli affetti sono sempre relazionali. Non chiudono il soggetto su se stesso e nel proprio mondo interiore, ma aprono sull’altro. È questa la cifra, inevitabile e drammatica, dell’esistenza di ognuno chiamata a giocarsi nella selva talvolta oscura delle relazioni, fino a che un paziente lavoro di bonifica, di revisione e di costruzione non ne riesca a trarre un universo sufficientemente ordinato.

Giacomo Contri ha ribattezzato aristotelicamente l’affetto “forma del corpo”. Una forma che è in primis concava o convessa: accogliente o respingente. In questa prospettiva l’affetto è la disposizione che il corpo assume in relazione all’offerta di un altro. È la bocca aperta o chiusa, l’orecchio disposto o refrattario all’ascolto, l’occhio che si fa prensile o sfuggente nella lettura. Sono il bacio, l’abbraccio, la carezza, fino alle manifestazioni erotiche della vita amorosa. Tutte e ciascuna, manifestazioni della disponibilità (o della preclusione) del pensiero ad accogliere l’imprevisto: il non ancora pensato perché frutto del lavoro di un altro.