E’ possibile che anche i libri dedicati ai viticultori in Italia possano dare fastidio e indurre a boicottarli?

Acquistare a Bologna una copia della Guida essenziale ai vini d’Italia 2019, edita da Doctor Wine (cioè da Daniele Cernilli, che su Internet gestisce un blog con questo nickname anglicizzato) è stata un’avventura. Per alcune settimane dalla pubblicazione, nella città che ospitò il cardinal Legato non se ne trovava traccia. Mi pare che la situazione sia ora cambiata solo da pochi giorni. 



La Guida è stata indisponibile addirittura in due delle principali e centralissime librerie, cioè la Mondadori e l’Ambasciatori.

Che l’editore milanese non disponga, nell’immobile a due piani di via d’Azeglio, di una copia da vendere suona come una bizzarria. Infatti Mondadori per 4 anni di seguito ha pubblicato, e venduto, alcune decine di migliaia di copie della guida del nostro più autorevole e comunque più noto (anche a livello internazionale) critico enologico.



La decisione di mettersi in proprio (insieme al team più ristretto costituito da Dario Cappelloni, Riccardo Viscardi, Stefania Vinciguerra e Iolanda Maggio), cioè di redigere, stampare e vendere direttamente la guida deve avere suscitato qualche irritazione nella casa editrice di Silvio Berlusconi.

Questo sentimento è umanamente comprensibile. Cernilli è persona alla mano (cioè poco saccente e sacerdotale, quindi non schizzinoso), è gentile, non ama mettersi in mostra più del necessario. Ma soprattutto dai suoi comportamenti non tracima l’ossessione di farsi trascinare (o addirittura di intraprendere) operazioni aggressive o diffamatorie contro qualcuno. Questa malacreanza è balzata da tempo all’ordine del giorno in un mercato come quello nostrano dei vini, dove la continua flessione dei consumi viene fronteggiata elevandone smodatamente i prezzi alla vendita.



Penso che proprio per preservare le sue qualità, Cernilli, nelle sue guide, non ospiti la pubblicità né dei vini che apprezza di più, né di quelli che apprezza di meno.

Era, questa, una regola che aveva fatto valere quando 10-15 anni or sono aveva dato vita, insieme a Carlin Petrini e ai suoi giovani amici piemontesi (di Bra), alle iniziative editoriali di Slow Food. Non posso però dimenticare come parlare dell’alto prezzo delle bottiglie, e tanto meno consigliare delle campagne di stampa contro il non equo profitto (come diceva Luigi Longo) non sia mai stato in testa alle loro preoccupazioni. 

Anche questa guida, la quinta dopo le quattro edite da Mondadori, è il più numeroso repertorio dei vini che si producono nel nostro paese. Sono stati selezionate 1.134 aziende per un totale di 2.809 vini su diverse migliaia degustati.

Anche in questa occasione Cernilli ha voluto evitare, per quanto possibile, qualcosa di più della gratuità del peccato di gola.

Mi pare sia più corretto dire che siamo in presenza della banalità del male. Cernilli, Cappelloni, Viscardi ecc. non pretendono che le bottiglie da esaminare vengano loro spedite in redazione. Hanno il buon gusto di andarsele a comprare in enoteca (è la ragione per cui Doctorwine, che ha una bella stazza, capita di incontrarlo in qualche cassa dei mercati alimentari Eataly di Oscar Farinetti a pagare le bottiglie stivate in saccoccia) o direttamente dai produttori.

Pagare di tasca propria quel che si recensisce è una misura di autodifesa importante. A ricevere a casa i vini di Angelo Gaja, Romano Dal Forno, Martino Manetti, Giovanni Montisci, Matteo Correggia, Marilisa Allegrini o del conte Incisa della Rocchetta (il suo Bolgheri Sassicaia 2015 è il primo classificato quest’anno), si corre solo un rischio. Si deve essere un santo se quando si scrive la noticina che riguarda gli splendidi vini di questi vignaioli non li si incensa. La carne è debole non solo per via del sesso, ma anche della gola. Sono sempre arti e luoghi inconsolabili.

La guida fornisce delle informazioni succinte, ma godibili, sui singoli produttori. Ne offre i recapiti, ma c’è di più (il che giustifica la spesa di 18 euro per acquistarla). Infatti, insieme alla valutazione in centesimi e in “faccini” per i vini che ottengono tra 95 e 100 punti, dà anche il prezzo indicativo ricavato dalle enoteche.

Queste non possono pretendere di essere santificate. Infatti Cernilli, anche se non si sbraccia a lamentare questa pratica lasciva, informa il lettore che gli enotecari al franco cantina e all’Iva amano aggiungere il 40 per cento di ricarico. Il che “quasi sempre corrisponde al prezzo medio di vendita indicato dai maggiori siti on line, come wine searcher”.

E perché noi lettori siamo messi in condizioni di fare una botta di conti su profitti e rendite, viene indicato, in un capitolo a parte, il buon rapporto qualità/prezzo per 11 vini. Nessuno di essi supera i 10 euro. C’è poi il piacere di segnalare col disegno in rosso di un pollice alzato i vini che possono rendere possibile una bella serata spendendo al massimo 10 o 15 euro. Sono circa 670. Si tratta di un’innovazione che non poteva suscitare entusiasmo e gridolini di gioia nella concorrenza.

Il lettore scopre così delle cose poco gradevoli. Mi riferisco al fatto che i tre principali vini (i Barbaresco Sorì San Lorenzo, Costa Russi e Sorì Tildin) del nostro grande “roi”, Angelo Gaja, costano ognuno 480 euro. Posso dichiarare che per riuscire a degustarli, caro Cantone, lo stesso cedimento alla corruzione dovrebbe essere ammissibile, cioè rubricata come un peccato veniale?

Ma vassalli e valvassori (in non pochi casi scarsamente conosciuti) dell’imperatore delle Langhe e di una colonia (la prima del Piemonte) qual è stata la Sardegna come possono, se non per un processo di omologazione tanto rapido quanto gratuito, imporre prezzi che superano di molto i 100 euro?

La guida sventaglia la sua indipendenza quando classifica Gaja al secondo posto. E lo insedia accanto ad uno (fino a qualche anno fa) sconosciuto viticultore sardo di Mamoiada. Anch’egli è un visionario come lo fu in Gallura il vecchio Ragnedda con gli inossidabili Capichera. Ebbene la vendita dell’amata Franzisca da Giovanni Montisci viene quotata a 55 euro.

Direi che la ragione per cui Cernilli non è molto amato, e anzi temuto, sia la seguente: alimenta spiriti sovversivi. Nel suo blog su Internet recensisce il Dolcetto (le cui origini sono state descritte da uno storico di origine sarda come Pietro Stara, che scrive per Intravino) prodotto a Dogliani dall’azienda agricola di Mario Cozzo e Gianluca De Maria. Doctor Wine mostra che i loro buoni vini (come Dusin, Madonna delle Grazie e Pregliasco) ben confezionati, con un bel disegn, si possano portare a casa a circa 6-7 euro. E un buon Roero (che personalmente amo) come quello di Matteo Correggia lo si può acquistare sugli 11 euro.

Cernilli fa di più anche rispetto ai suoi colleghi della rivista Intravino. Aizza la plebe dei consumatori dicendole quanto chi va in un supermercato degli Stati Uniti apprende subito, cioè che quando una bottiglia supera i dieci dollari spesso resta lì impilata nella bacheca. Lo stesso Cernilli (e chi scrive) ci pensano due volte prima di acquistarla. Com’è possibile, allora, che vini meno piacevoli e curati di quelli di Cozzo e De Maria costino centinaia di baiocchi in più?

Per finire, all’ampliamento del consumo del vino fa da ostacolo un altro collo di bottiglia, cioè l’alto costo del trasporto. Si arriva a anche a 10 euro a bottiglia! Il risultato di queste bardature e prelievi è che se volete acquistare anche solo una parte delle bottiglie selezionate da Cernilli neanche fornitori come Callmewine, Vino’75, lo stesso Tannico (che quest’anno ne ha inserito nel suo catalogo una quindicina) ve le possono recapitare. Dario Cappelloni, a proposito dei vini sardi ed altoatesini (che segue), ha confessato la sua difficoltà a farseli recapitare.

Ancora una volta l’Italia degli ordini, delle micro-corporazioni, delle professioni ingolfa il mercato rendendolo un imbuto. E’ un grande tema che Daniele Cernilli e il suo staff non debbono lasciare cadere. Altrimenti far circolare una bella e utile guida come questa diventa un inno alle élites, ai piaceri umbratili, al peccare in piccole compagnie.