Confesso che quando leggo i racconti di Charlie – Gianluca Recalcati detto Charlie, Quell’errore così piccolo (L’erudita, 2018) – non riesco a non farmi venire in mente Jannacci. Senz’altro perché i personaggi di Charlie, come quelli di Enzo, si muovono fra i quartieri della periferia milanese, Giambellino, Gratosoglio, Porta Romana; al massimo nell’ultimo paesello sperduto della Brianza, Cambiate. Ma più ancora perché, come le canzoni di Enzo, anche i racconti di Gianluca sono sempre “roba minima”. La signora con l’ossessione del parcheggio che non si accorge di aver investito un ciclista. Il nonno che passa la giornata col nipote immaginario. Il marito che non sa come festeggiare l’anniversario di nozze e finisce per cercare di cucinare un cavolo. E così via.
Ma confesso anche – peccato più grave – che quando leggo i racconti di Charlie mi viene in mente anche Flannery O’Connor. Per carità, non voglio fare paragoni sproporzionati fra un gigante della letteratura e un giovane di belle speranze (e di solida scrittura, peraltro). Però non riesco a non farmi colpire da un’analogia. Scriveva la grande Flannery che la scrittura si muove “nel territorio del diavolo”, indaga la vita umana così com’è, dura il più delle volte, infelice quasi sempre, attenta a cogliere come l’imprevisto sbuca talvolta fra le pieghe della vita più ordinaria – per usare la sua espressione, come il mistery si mostra nelle manners.
Ed ecco allora – torniamo ai racconti di Charlie – l’impiegato gravemente stitico che un giorno scopre di saper volare, il fatto di sangue che viene a turbare l’immota vita di Cambiate, le dodici ore scomparse che costringono la voce narrante del racconto omonimo – Dodici ore, appunto – a chiedersi per che scopo avrebbe voluto adoperarle, perfino lo specchio che mostra a uno dei protagonisti il volto della belva che si nasconde in lui.
E a volte, tra le pieghe di vite di “uomini piccoli [che] si preoccupano di sopravvivere, dimenticano il senso delle cose”, balena perfino l’eco di una possibile salvezza.