Che cos’è un whipping boy? Il termine potrebbe essere tradotto con l’espressione “capro espiatorio” e indicava, fra l’altro, ancora nell’Inghilterra del XVIII e inizio XIX secolo, una particolare figura presente nelle magioni aristocratiche. Qui, infatti, il rampollo di una nobile casata veniva spesso educato da un precettore che però, essendo socialmente inferiore al figlio dei suoi padroni, non poteva punirlo: per questo si ricorreva a un whipping boy, cioè a un ragazzo, coetaneo e spesso amico e compagno di giochi del “giovin signore”, spesso figlio di un domestico, che cresceva insieme al giovane nobile, giocava con lui, veniva educato con lui e veniva inoltre punito al suo posto, con quelle umilianti pene corporali previste dalla pedagogia di un tempo.
La speranza insita in quest’uso era che il giovin signore, vedendo le sofferenze di quello che spesso era il suo solo amico, e sapendo che esse erano causate dal suo comportamento, imparasse a comportarsi in modo responsabile, e dal senso di colpa traesse spunto per emendarsi dai suoi errori. Speranza vana, il più delle volte. All’usanza si sono ispirati Dario Argento e Stefano Piani per Profondo nero, avventura di Dylan Dog apparsa in edicola regolarmente nel luglio 2018 e ora ristampata in grande formato, in un volume cartonato (edizione a tiratura limitata per Mondadori Store), che ci presenta, dopo la storia, parte della sceneggiatura, portandoci dentro il laboratorio creativo di un’avventura di uno dei più longevi e famosi fumetti italiani.
In questa storia, il cui soggetto e la sceneggiatura si valgono, eccezionalmente, dell’intervento di Dario Argento (da cui il titolo che strizza l’occhio a uno dei più celebri film del maestro italiano dell’horror, Profondo rosso), il valore aggiunto è dato dai disegni di Corrado Roi, uno dei professionisti – o, per meglio dire, degli artisti – che meglio hanno saputo negli oltre trent’anni del fumetto Bonelli, interpretare il mito popolare di Dylan Dog. I disegni di Roi sono elegantissimi e drammaticamente tenebrosi: in essi, le figure e i volti sembrano emergere per velature infinitesimali dal buio notturno, e sono particolarmente appropriati a una storia come quella di Profondo nero.
Qui Dylan Dog, casualmente, scopre che sulla sua vecchia auto, lo storico Maggiolone cabriolet bianco, pende un provvedimento di fermo amministrativo; appiedato, passa davanti a una galleria d’arte che espone una mostra fotografica molto, molto particolare. Abbordato dall’artista, una giovane fotografa, Dylan entra nella galleria, dove viene colpito da una donna bellissima, con delle vistose cicatrici sulla schiena, che si staglia nell’ombra davanti a una delle fotografie esposte. La donna, che è anche la modella di cui si è valsa la giovane artista, si chiama Lais, uno pseudonimo, sulla base del quale Dylan prende a cercare la ragazza, entrando nei meandri di una storia torbida, e non solo per le tonalità e lo stile dei disegni di Roi. La ragazza, infatti, sembra svanita nel nulla dopo quel fuggevole scambio di sguardi alla galleria d’arte, e anche la sua coinquilina, che “l’investigatore dell’incubo” riesce a contattare, fa ben presto una brutta fine.
Tuttavia, Dylan riesce a risalire alla vera identità di Lais: Beatrix Williams, un’orfana, figlia di una cameriera di una baronessa che l’ha cresciuta nel suo castello insieme con la figlia. La nobildonna, tuttavia, ben sa – citando Parini – che “Mal giova illustre sangue ad animo che langue”. E Dylan così scoprirà, pian piano, la misteriosa storia di Beatrix-Lais, la bellissima e misteriosa modella scomparsa. Come sempre, ci sarà un pizzico di soprannaturale a concludere la storia, con un po’ di spazio per lo scetticismo di chi preferisce non credere sino in fondo al Mistero.