“Quando soffia impetuoso il vento del cambiamento c’è chi alza muri e chi, guardando avanti, costruisce mulini a vento”. Questa frase, riportata sulla quarta di copertina, ben sintetizza il libro di Enrico Letta Ho imparato. In viaggio con i giovani sognando un’Italia mondiale (il Mulino 2019).

Quasi a richiamare due noti lavori di Max Weber (La politica come professione e Il lavoro intellettuale come professione) in Letta (classe 1966) giungono a sintesi due esperienze molto importanti. Quella politica: è stato un importante esponente del Partito democratico e presidente del Consiglio per quasi un anno tra l’aprile del 2013 (succedendo a Monti) e il febbraio 2014 (lasciando la carica a Matteo Renzi). E quella intellettuale: si è dimesso da parlamentare nel 2015 per dedicarsi alla docenza universitaria; attualmente dirige la Scuola di Affari Internazionali dell’Università Sciences Po di Parigi.



Il lettore troverà di sicuro interesse il libro perché offre uno spaccato dei problemi che caratterizzano il nostro tempo: dall’emergenza ambientale all’ascesa di Trump; dall’incremento demografico ai fenomeni migratori; dal fallimento delle élite al ruolo delle imprese italiane nel mondo. Per ognuno di essi l’analisi del passato recente viene considerata la premessa per comprendere il presente al fine di proporre delle ricette utili a sciogliere i nodi alla luce di una visione d’insieme.



Ma, nel complesso, dal volume emerge passione filtrata da un metodo. La prima è quella politica. Il secondo è quello proprio del professore.

Letta prende posizione alla luce di precise impostazioni politiche: lo fa, ad esempio quando difende convintamente l’ideale europeo. Nel quarto capitolo (“Ma l’Europa che ci sta a fare”) si sofferma sullo sport nazionale che ormai è diventato l’addossare all’Europa le colpe di tutto ciò che va male. L’autore sottolinea che si tratta di un atteggiamento sbagliato, che accredita affermazioni non vere. E ricorda, all’opposto, che siamo in Europa perché abbiamo valori comuni; e che in Europa, molto più che in altre parti del mondo, sono tutelati principi come il welfare, la parità uomo-donna, la difesa dell’ambiente e così via.



La passione politica emerge anche quando ricorda alcuni mali che ci affliggono. Il terzo capitolo (“Il fallimento delle élite”) è una critica feroce e veritiera delle classi dirigenti che si sono spogliate delle proprie responsabilità nei confronti della società e hanno pensato solo a perpetuare se stesse. Letta cita ad esempio la debolezza della classe dirigente inglese che sta gestendo la Brexit, ma anche le ultime leggi elettorali italiane (dal Porcellum all’Italicum) che non consentono di selezionare parlamentari all’altezza del ruolo ma servono solo a mantenere al potere i gruppi dirigenti.

L’altro aspetto, si diceva, è quello metodologico. Può essere sintetizzato così: occorre comprendere i problemi (il che significa studiarli a fondo anche nelle loro connessioni), immaginare degli obiettivi (che vengono dalla visione politica), suggerire delle azioni concrete da attuare per raggiungerli.

Nelle pagine sulla crisi migratoria, all’analisi dedicata ai leader che speculano sulla paura solo a fini elettorali segue un elenco delle misure da prendere: ad esempio, aprire i canali di accesso legale. Nel capitolo che si occupa di istruzione dopo aver chiarito che nuova missione della scuola deve essere “insegnarci a pensare a ciò che non sappiamo (ancora) di non sapere” ci si sofferma su come innovare la didattica e su misure che andrebbero prese, come la riduzione a 4 anni della scuola superiore e l’innalzamento a 16 anni dell’obbligo scolastico. Ricette vengono indicate anche per promuovere la presenza delle imprese italiane nel mondo: significativa la dichiarata simpatia verso forme di compartecipazione dei lavoratori alle scelte dei vertici aziendali.

Secondo Letta il ruolo della politica è quello di trovare e raggiungere un equilibrio tra competenza e rappresentanza (p. 51). Il problema diventa quello di formare politici all’altezza. La sua ricetta è duplice: a) nuovi meccanismi di selezione che restituiscano ai cittadini il potere di scegliere la propria rappresentanza; b) creare luoghi di formazione (e su questo lui è impegnato in prima persona).

Mi pare sia una dimostrazione ulteriore di quanto detto sin qui: per incidere sulla realtà occorre passione unita ad una competenza che matura grazie ad uno studio rigoroso dei fenomeni.

Letta ci dice già dal titolo del libro: “Ho imparato”. Si può non essere del tutto d’accordo con le sue analisi e con le sue ricette. Ma nel libro egli ci insegna, con il garbo che lo contraddistingue, un approccio raro e prezioso: allo studio e alla politica.

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