Io non so parlar d’amore
l’emozione non ha voce
e mi manca un po’ il respiro
se ci sei c’è troppa luce

Le parole della canzone di Celentano, ora ottantenne e molto criticato negli ultimi tempi, non fanno che riprendere, non so quanto consapevolmente, i temi dello Stilnovo, ovvero del primo movimento letterario della letteratura italiana: l’ineffabilità, il venir meno di alcune funzioni vitali, la luce che si sprigiona dall’amata. Novecento anni di distanza, la stessa esperienza con parole simili. Forse perché è universale l’esperienza dell’amore?



In essa, quando è autentica, c’è come il presentimento di un attimo di durata, mentre tutto, fuori e dentro la persona, muta senza posa. Perciò si desidera fermare quell’attimo con parole che anch’esse restino, come nella canzone napoletana in cui, tra quelle più carnali e dolci, l’innamorato ne sceglie solo tre: “ti voglio bene” e le affida all’ala della musica.



Che dire di san Valentino 2019? L’augurio che per tutti gli innamorati l’attimo breve sia colto nel suo valore di promessa di qualcosa di più grande e che duri, l’avvertimento della fragilità di un’emozione che svanisce facilmente se non si apre almeno per un attimo all’impegno della fedeltà, la gratitudine dovuta comunque per il dono della corrispondenza, così difficile molto spesso tra le persone e tra le persone e il mondo.

La lealtà con se stessi prima ancora che con l’amata o l’amato è molto in una relazione d’amore, non prima di tutto nel comportamento, quanto nella consapevolezza di vivere un dono che non deve essere sciupato dalle maschere con cui con abilità ci nascondiamo ai nostri e agli altrui occhi. In questo senso la luce di cui scrive Celentano, la luce della donna, è l’altro elemento da guardare e da custodire.