Sono quattro gli elementi alla base del rilancio di Napoli come città attrattiva per un numero di visitatori di rimarchevoli proporzioni, per di più confermato nel corso degli anni, stagione dopo stagione. Proviamo a esaminarli uno per uno.
1) Il primo elemento ha carattere “endogeno”, potremmo dire, cioè attinente alle dinamiche del mercato della domanda turistica. Qui ha agito la felice combinazione di fattori esterni e interni. Anche se ormai sembra che si sia posto in un angolo il timor panico per destinazioni a grave rischio geopolitico, questa componente ha avuto una sensibile influenza negli anni scorsi, funestati dalla triste sequela di attentati nelle capitali europee dell’integrazione multietnica (Londra e Parigi, ma non solo), cha ha fatto il paio con lo sbigottimento per azioni terroristiche atroci, rivendicate dal fondamentalismo islamico, in alcune tra le mete più conosciute del Maghreb, Egitto e Tunisia innanzitutto.
Ora l’impegno delle superpotenze militari – Russia in primis – ha inferto colpi durissimi all’Isis, liberando il territorio dello stato islamico casamatta per casamatta. Ma il ricordo delle “imprese terroristiche” ha scavato un solco nell’inconscio dei popoli occidentali. Ed ecco perché, in fin dei conti, sono tornate in auge destinazioni più vicine, più sicure e, tutto sommato, abbordabili.
2) E anche più ricche di opportunità. Eccoci così al secondo punto. A Napoli ci sono circa 500 chiese, forse anche più se si contano chiesette, cappelle, tempietti. Infinitamente di più sono i tabernacoli e le edicole votive. Infatti viene definita (qualcuno lo ha dimenticato) la “città delle cinquecento cupole”. Da sole basterebbero a giustificare un interesse a conoscere la città che corre lungo i secoli. Costituiscono un patrimonio artistico, architettonico, storico e spirituale unico nel suo genere, ancora largamente sottostimato per l’enormità delle chiese sconsacrate tuttora inaccessibili, quasi un tesoro sepolto sotto la polvere della storia, da recuperare.
La città rammenta di essere stata una capitale di regno anche per il tracciato che lega, come i punti di un gioco enigmistico, i suoi castelli, che sono sette. Enumera, inoltre, una cinquantina di musei tra maggiori e minori, si va dalla paleontologia all’arte contemporanea (il Madre) passando per i reperti di Pompei, riuniti nel Museo archeologico nazionale, e il tempio mondiale del barocco, rappresentato dal Museo di Capodimonte.
Basterebbe questo sommario computo, senza includere la quantità di prodotti tipici che ne fanno una capitale mondiale del food, a ergere la città al di sopra di tantissime altre di una spanna e anche più. Il tutto concentrato in meno di un fazzoletto di un chilometro quadrato tra Port’Alba e via Duomo, un quadrilatero formato da tre decumani che lo attraversano longitudinalmente e tanti cardini (per lo più strettissimi vicoli) che li intersecano, formando la casbah partenopea.
Fu Antonio Bassolino, indimenticato sindaco della città, a rilanciare i quartieri greco-romani, quel ventre di Napoli riproposto come “museo a cielo aperto”, diventato un must e adottato da marchi mondiali della moda come Dolce e Gabbana.
3) A distanza di dieci anni dalla crisi dei rifiuti più atroce per una metropoli occidentale (che, in realtà, riguardò la corona di comuni che compongono la sua provincia, in tutto oltre 3 milioni di abitanti), la città di Partenope si è imposta all’attenzione dei grandi flussi di visitatori, offrendo i vantaggi tipici della città d’arte uniti alla molteplice e ricchissima serie di opzioni alternative per variazioni sul tema lunghe un giorno, tra Pompei e Costiera amalfitana.
E veniamo al terzo fattore. Napoli ha sedimentato così tanta storia, come si conviene a una capitale, come un immenso cetaceo che assorbe risorse dalle campagne per alimentare il fabbisogno di una corte che ebbe rilevanti (e indimenticabili) periodi di splendore, ma restituendo, come appunto si conviene a una capitale, un contributo di opportunità e valori ben più importante al territorio circonvicino fino alle propaggini dei monti che sono parte dell’ossatura regionale.
E’ tra le poche metropoli al mondo che offre una miriade di occasioni, tutte nell’arco di cento chilometri, raggiungibili anche via mare. Colazione la mattina in Piazza San Domenico Maggiore o in uno dei baretti che compongono un’infinita teoria di locali di Spaccanapoli o via Tribunali. Poi, a piedi, a Calata di Massa per salpare con aliscafo o traghetto verso Capri, Ischia o Procida. Ritorno in serata… Oppure in treno a Pompei o a Cuma (da raggiungere, volendo, senza fermate intermedie). Oppure in auto alla Reggia di Caserta (la più estesa tra le residenze reali d’Europa) o ai templi di Paestum (il parco archeologico di origine greca più grande al mondo).
4) E siamo arrivati al quarto e ultimo passaggio, al nocciolo del “mistero napoletano”. Qui la penna passa a Curzio Malaparte, autore di La Pelle, scrittore che con Domenico Rea e pochissimi altri più ha scavato nelle pieghe della principale caratteristica della città: una realtà formata di pietre di tufo e basoli e sanpietrini che ha la capacità irredimibile di trasformarsi in Mito. Napoli è cult e continua da sempre a “proporsi” da sola, al di là e al di sopra delle ferite che la violano e nonostante l’inanità dei potenti che la governano, per il seguente motivo: “…è la più misteriosa città d’Europa, è la sola città del mondo antico che non sia perita come Ilio, come Ninive, come Babilonia. È la sola città del mondo che non è affondata nell’immane naufragio della civiltà antica… Napoli è una Pompei che non è stata mai sepolta. Non è una città: è un mondo. Il mondo antico, precristiano, rimasto intatto alla superficie del mondo moderno…”.