Il decollo della modernità nello spazio dell’Occidente europeo è passato attraverso mutamenti decisivi. Ci si è gradualmente introdotti in una rivoluzione del sistema complessivo del vivere, che però ha incluso al suo interno molti elementi delle architetture sociali e culturali preesistenti, portando a costruire un nuovo edificio fatto di materiali selezionati in vista di un ciclopico “riuso”. Si è trattato di un laborioso processo di sviluppo disteso sul filo del tempo, a cui è indispensabile guardare se si vuole comprendere come sono state gettate le basi della visione del mondo che ha dominato la fase storica più matura della cristianità di tradizione latina.



Nel suo grembo, anche la forza aggressiva della violenza bellica e il rigore intransigente della giustizia che castiga e ferisce hanno dovuto accettare di essere addomesticati, lasciandosi imbrigliare negli argini di freni condivisi. Questo è accaduto perché il rapporto con il sacro rimaneva il pilastro intorno a cui gravitavano i fini ultimi del destino individuale e dell’esistere collettivo. Ed è solo facendo leva su questo fulcro centrale che si possono comprendere le logiche di funzionamento del pensiero, della mentalità e dei modelli di comportamento che sorreggevano l’universo dell’Antico Regime.



Da qualunque punto di partenza ci si metta in cammino, l’interscambio con la dimensione del fatto religioso ritorna come un varco attraverso non si può evitare di inoltrarsi. Vale per la ragione filosofica e scientifica; vale per la letteratura, ovviamente, o per la fioritura impressionante delle arti rappresentative. Ma vale anche per la forma artistica forse più coinvolgente, più diretta e più caricata emotivamente: cioè per l’arte musicale. È quanto aiuta a mettere a fuoco la più recente raccolta di studi dedicata ai rapporti tra “paesaggio sonoro” e contenuti della tradizione cristiana nel contesto della prima età moderna, da poco data alle stampe a cura di Daniele Filippi e Michael Noone, per i tipi di uno fra i più prestigiosi editori accademici sul piano internazionale (Listening to Early Modern Catholicism. Perspectives from Musicology, Brill 2017).



Dentro la cornice della cristianità preilluminista, si possono isolare i diversi i blocchi che entravano a comporre un mosaico fortemente plurale. Le spinte di progresso non venivano solo dal frastagliato arcipelago dell’Europa protestante. In tensione con il mondo della Riforma, venivano anche dall’insieme dei paesi cattolici, portatori di una fede ripensata nella sua teologia di sostegno e nelle sue linee di innesto nella realtà secolare nella scia di ondate di rinnovamento che si erano messe in moto già prima della frattura confessionale. Anticipate nel tempo, le forze che si opponevano agli abusi e alla decadenza hanno continuato a far sentire il loro influsso, con nuovi accenti e caratteri inediti, ben al di là dello scontro lacerante che si accese sul monopolio esclusivo della verità ultima.

Tradizionalmente, l’evoluzione del cattolicesimo nel lungo arco dell’età moderna tendeva, in effetti, a essere interpretata soltanto come un moto di reazione, rivolto allo scopo di combattere le aperture positive, indirizzate verso le “magnifiche sorti progressive” del futuro, introdotte dai riformatori entrati in dissidio con la Chiesa di Roma. Ci sarebbe stata un’unica, vera e grande riforma: quella incanalata da Lutero e dai suoi continuatori nella direzione della rottura. E a questa si contrappose, dalla parte del potere papale, appoggiandosi alle decisioni stabilite nel concilio di Trento, una involuzione autoritaria e repressiva il cui intento era bloccare nuove diserzioni e recuperare il più possibile del terreno perduto: la “Controriforma”, appunto.

Questa visione basata sulla logica del conflitto mantiene oggi posizioni tenaci sul fronte della divulgazione di basso profilo e della trasmissione scolastica, con il sostegno della storiografia ossessionata dallo spettro tenebroso dell’Inquisizione e nemica delle pesanti restrizioni del controllo sulla condotta degli individui. Ma ai piani più alti degli studi storico-religiosi, anche in un contesto rigorosamente “laico”, il pregiudizio anticattolico appare sempre più nettamente come un retaggio schematico del passato. Si riaprono spazi per ricostruire gli sviluppi della storia in modo più aderente ai processi concreti che hanno spalancato la strada all’avanzata della modernità. E questo conduce all’urgenza di riabbracciare il fascio complesso delle manifestazioni storiche del cattolicesimo tradizionale nella loro estensione totale, senza fermarsi a esasperarne alcune componenti più clamorose e discutibili, a scapito di tutte le altre.

Se al centro non sta più la lotta all’ultimo sangue contro il nemico, riemerge in primo piano la globalità di un universo religioso capace non solo di inventare armi per respingere il tarlo delle eresie e soffocare le devianze dalle regole, ma anche di costruire in senso positivo, di elaborare nuovi modelli di santità e di perfezione, di moltiplicare le tante strade diverse attraverso cui l’ideale della fede poteva incarnarsi nel tessuto della vita del mondo, intrecciandosi alla varietà delle condizioni a cui si legava il destino degli uomini: nel cuore del Vecchio Mondo, dove il cristianesimo antico aveva messo radici, così come lungo le vie della prima, grandiosa, disseminazione missionaria, fino agli angoli più remoti dello spazio planetario.

Questo impianto globale, dinamico, multiforme e potentemente creativo del cattolicesimo della prima età moderna ricomprende in sé tutte le partizioni della storia religiosa tradizionale. Non le si annulla, ma le si recupera come snodi e momenti diversi di un unico corpo organico investito dai processi di trasformazione che hanno profondamente “riscritto” il volto ereditato dalle epoche storiche precedenti. Riforme tardomedievali, umanesimo rinascimentale, Riforma cattolica, concilio di Trento, Controriforma, Barocco non appaiono più come movimenti indipendenti, contrassegnati da unicità esclusive. Si rivelano, invece, le declinazioni mutevoli di un’unica mente religiosa che ha trapassato le linee di confine tra opzioni e orientamenti aperti a esiti divaricati. E questi vengono riconnessi nel flusso di una continuità fondata su radici comuni, animata dalla stabile forza inclusiva di un cattolicesimo che percorre come un fiume carsico sotterraneo le complesse ondulazioni create dal dialogo tra sacralità cristiana e vita dell’uomo della prima età moderna.

È stato merito, in primo luogo, dello storico gesuita nordamericano John W. O’Malley far riscoprire il fondamento unitario dell’Early Modern Catholicism. Attraverso le sue fertili ricerche, ha mostrato la persistenza delle correnti più robuste della creatività religiosa di questo cattolicesimo prima trascurato, la sua camaleontica capacità di adattarsi a linguaggi, situazioni e bisogni continuamente rimodellati, insistendo sulla necessità di puntare alla sintesi del molteplice. L’unità del sostrato condiviso era l’unità delle sorgenti a cui ognuno poteva attingere. Comuni restavano le linee dottrinali di fondo in cui si accettava di incardinarsi. E la lunga durata di questa simbiosi tra i volti diversi di un unico patrimonio di civiltà cristiana è rimasta vitale quanto meno fino alla crisi della coscienza europea maturata dal pieno Settecento in poi.

Non è certamente un caso che proprio a O’Malley sia affidato l’intervento di apertura di Listening to Early Modern Catholicism. L’autore vi ripercorre per sommi capi il cammino che ha reso possibile il graduale affermarsi, nonostante resistenze e obiezioni tuttora molto vivaci, dell’ottica da lui divulgata. Ma se si preferisce una puntualizzazione di più facile accesso, basterà risalire alla traduzione del suo brillante saggio Trento e “dintorni”. Per una nuova definizione del cattolicesimo nell’età moderna (Bulzoni 2004), che è stata anche la sede della prima formulazione esplicita di questa visuale interpretativa plasticamente elastica e di vasti orizzonti.