“Questo nostro è appunto il tempo dell’egoismo nazionale: egli vige questo egoismo, egli cresce, egli invade tutto, egli crede di poter tutto, s’irrita, e innaspra ad ogni sospetto, che gli sia messo alcun modo, alcun freno”: così scrisse nel 1843 Antonio Rosmini, grande promotore dell’unità d’Italia. Proprio mentre invocava l’identità e l’autonomia nazionale, si rese conto dei rischi del sovranismo. Da un lato, il popolo è chiamato a essere sovrano e consapevole dei suoi valori e della propria unità, dall’altro la chiusura verso l’altro e l’egoismo nazionale lo portano a trasformarsi in negativo.
Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer e Robert Schuman hanno vissuto nel corso di due guerre mondiali le conseguenze paventate dai timori espressi da Rosmini, individuando in un’Europa politicamente unita la possibilità di formare una forza congiunta, orchestrata tra i vari interessi nazionali. La “grammatica” di tutte le istituzioni europee, formulata nel Piano Schuman, prevede il trasferimento di parte della sovranità nazionale verso un livello europeo, ciò non per delegittimare la singola identità, bensì per renderla più efficace al fine di poter affrontare insieme quelle politiche in cui il livello nazionale si è dimostrato inefficace e controproducente. La logica dell’Europa indica come stia nell’interesse di ogni singolo Paese affrontare le sfide della globalizzazione al livello di una sovranità sovranazionale ugualmente condivisa da tutti i Paesi membri dell’Ue.
Questa logica vale anche per la moneta unica, che è diventata uno dei principali bersagli dei sovranisti nei vari paesi membri dell’Ue. La preoccupazione del Trattato di Maastricht (1992), che del resto ha formulato l’importante principio di sussidiarietà come struttura costituzionale di un’Europa ancora oggi senza costituzione, è stata quella di assicurare la stabilità di tale moneta, alla luce del fatto che un euro debole avrebbe portato inevitabilmente alla disgregazione dell’Unione.
Invece, è stata proprio la sua stabilità – con un’inflazione persino attestatasi al di sotto del marco tedesco che l’ha consacrata a seconda moneta nel mondo – ad aver prodotto quegli squilibri sul mercato che ormai costituiscono una fonte continua dalla quale i sovranisti attingono. Squilibri che sono causati soprattutto dal fatto che accanto all’euro è assente un ordinamento costituzionale all’interno del quale la moneta viene collocata, una sufficiente politica “di cornice” comune che si assume quelle responsabilità che ora gravano troppo sulla Banca Centrale Europea come istanza autonoma, e infine le condizioni per una maggiore politica sociale europea. Ciò che pochi sanno è che tutti questi elementi sono requisiti dell’economia sociale di mercato che indebitamente viene ridotta a un mero modello di concorrenza spietata o addirittura al “sistema tedesco”.
Nella Brexit stiamo assistendo al primo “esperimento” delle conseguenze di un Paese in uscita dall’Ue e il caos politico, sociale ed economico della situazione britannica ci fa capire l’efficacia del funzionamento delle istituzioni europee in chiave di un continuo problem solving tra gli Stati, di una quotidiana armonizzazione delle dinamiche competitive e conflittuali a vantaggio anche economico di tutti, e di un avvicinamento delle politiche nazionali a volte molto divergenti. In tutti questi ambiti l’Ue è un progetto di successo e vantaggio di tutti nonostante l’impiego di una burocrazia a volte esagerata e divergenze nazionali riguardo a molte sfide politiche attuali.
Certamente, i sovranisti hanno ragione nel reclamare l’intimo legame tra “popolo” e “sovranità” come base di ogni legittimazione democratica. Maastricht ha anche aumentato la falsa speranza che l’integrazione europea potesse funzionare tramite l’economia, la moneta e il diritto: dobbiamo comprendere che senza la consapevolezza di costituire insieme un popolo europeo, che non esclude la legittima identificazione dei singoli come italiani, tedeschi o francesi, il processo dell’integrazione europea si arresterà per forza.
Un primo segnale d’allarme si è riscontrato col rifiuto della costituzione europea da parte del referendum francese (e olandese) nel 2005, quando per la prima volta una logica populista ha avuto la meglio sull’interesse europeo: sull’esito del voto ha inciso senz’altro la volontà popolare nei confronti di uno specifico politico nazionale (Chirac). Da quel momento, il dibattito europeo si è svolto in modo crescente attraverso temi di politica nazionale: il messaggio populista e sovranista, oltre a festeggiare successi elettorali, ha diffuso in maniera molto efficace una logica o un atteggiamento sovranista che si potrebbe descrivere come il diretto capovolgimento dall’umanesimo europeo che si basa centralmente sui valori del cristianesimo. Perché?
Mentre per il sovranista l’identità nazionale, culturale e religiosa della persona si afferma nello spazio particolare e chiuso del proprio popolo, il messaggio cristiano dice proprio il contrario: ossia che una persona può avere tale identità soltanto perché la dignità della persona è universale, cioè perché supera i propri confini egoistici. Strumentalizzare il cristianesimo come elemento di un’identità particolaristica ed egoista di un popolo, è quindi un vero e proprio tradimento dello spirito cristiano da parte del sovranismo. Al contrario, l’Europa, al suo interno, costituisce questo continuo superamento di confini i quali si situano in tal modo soltanto all’interno di uno spazio comune che – e ciò è vero – dobbiamo comprendere sempre più come lo spazio democratico del popolo europeo.
Così De Gasperi aveva già individuato il problema strutturale dell’Europa di oggi, avanzando l’unica valida risposta contro il sovranismo: “la difesa del sistema democratico è la premessa indispensabile e assoluta per tutti i popoli: questo è il problema principale dell’unità europea”.