Oggi, 10 aprile 2019, Luciano Pellicani compie 80 anni, nella sua amata Napoli, attorniato da parenti e amici. Pellicani è uno dei più noti sociologi italiani. Professore emerito alla Luiss, è  autore prolifico (circa due libri l’anno) i cui testi sono tradotti, oltre che in inglese, francese e spagnolo, anche in arabo. Con Il vangelo socialista di quarantun anni fa ha rivoltato la cultura socialista italiana e alcuni mesi fa Il Corriere della Sera ha dedicato una pagina alla ricorrenza. Compie da circa cinquant’anni un lungo viaggio attraverso i totalitarismi. Pure i suoi saggi d’occasione, oppure stimolati da viaggi (quale l’elegante lavoro sui Rajput di circa 25 anni fa) diventano una riflessione su forme di Stato e di organizzazione della società e di come germi totalitari di vario modo si possano inserire in esse. È un sociologo di impianto storico: fornisce modelli esplicativi di organizzazioni sociali e politiche e li dimostra tramite analisi storiche.



Il suo ultimo lavoro (Le rivoluzioni: miti e realtà, Rubbettino 2019) è più che una sintesi o una conclusione del lungo percorso. È messaggio lanciato anche a future generazioni di studiosi, o anche più semplicemente, di editorialisti e commentatori politici: sviscera come la reazione sia sempre in agguato dietro le ideologie, i leader e i movimenti che si proclamano rivoluzionari.



Il metodo scientifico di Pellicani resta quello che lo ha portato, sin dall’inizio degli anni Sessanta, a confutare i princìpi teorici del marxismo: un’analisi dettagliata e minuziosa dei testi quali scritti dai filosofi di vari movimenti che si proclamano “rivoluzionari” e pubblicati o con le loro firme o con quelle dei leader politici delle loro parti politiche.

In questo agile volume vengono esaminate sette rivoluzioni: quella protestante che innescò le guerre di religione in Europa, la ribellione puritana nella Gran Bretagna di Cromwell, le due rivoluzioni francesi (del 1789 e del 1848), la rivoluzione comunista del 1917 fino al crollo del muro di Berlino, le rivoluzioni nazionaliste che hanno caratterizzato la Germania e con varianti l’Italia e la Spagna negli anni successivi alla Prima guerra mondiale.



Ciascuna di queste rivoluzioni affermava di guardare al futuro, ma essenzialmente si rivolgeva al passato: Lutero combatteva contro il nuovo ordine che la nascente borghesia stava creando; la lesser gentry britannica (avvocati, funzionari pubblici, intellettuali e modesti proprietari terrieri) si battevano contro l’avanzata del capitalismo che minacciava il loro status e il loro mercato; i giacobini adottarono contro la modernizzazione borghese il terrorismo permanente e la burocrazia della morte; le rivoluzioni del XX secolo andarono ancora più indietro per affondare le loro radici nel millenarismo (la visione della storia elaborata dai profeti a partire dall’VIII secolo a.C. centrata sull’attesa di un evento catastrofico-palingenetico a seguito del quale sorgerà un mondo nuovo rigenerato e purificato). Al millenarismo si aggiunge, in varia misura, una determinante presente anche nelle rivoluzioni precedenti: la gnosi ossia la certezza di essere i soli a possedere la verità assoluta. Già presente in molti culti e tradizioni spirituali orientali (buddismo, induismo) e nel monoteismo ebraico e islamico, nonché in alcune correnti minoritarie del cristianesimo dei primi tre secoli.

In questo quadro, i nazionalismi “rivoluzionari” in Italia e Spagna si distinguono almeno parzialmente, perché hanno poco o nulla di millenaristico e di gnostico e giungono a compromessi con la borghesia industriale e il latifondismo agrario e non sono compiutamente totalitari, sia perché non radono al suolo il mercato, sia perché al loro codice genetico manca l’idea della purificazione del mondo attraverso lo sterminio degli elementi corrotti e corruttori.

È un libro da leggere e da meditare e che ci pone anche domande d’attualità: quanta reazione c’è in chi proclama il cambiamento?