La domanda del titolo alla nostra prima puntata si può ribaltare: a chi giova perpetuare il ricordo della vittoria nella Prima guerra mondiale? Una pretesa simile può apparire degna di un vecchio generale in pensione che borbotta sdegnato sui tempi moderni privi di patriottismo. Eppure le cose non stanno così e per accorgersene bisogna aprire i confini di menti e cuori, sprovincializzarli almeno un poco e confrontarsi con quanto accade nel resto del mondo in queste ore, alle 11 dell’11 novembre 2018.



Facciamo un breve passo indietro e vediamo cos’è accaduto in Italia per il centenario del 4 novembre 2018. Va osservato che, a livello locale, specie in Veneto e Friuli Venezia Giulia, la commemorazione è stata molto sentita. In Brianza l’Unione nazionale ufficiali in congedo (Unuci) ha organizzato una marcia della Vittoria con otto colonne di manifestanti che hanno attraversato la provincia per convergere su Monza sostando davanti ai monumenti ai caduti. Naturalmente l’Anpi ha trovato da ridire per il carattere “militarista” dell’iniziativa ma bisogna aver pazienza: per l’Anpi la guerra è sempre una cosa brutta perché si toglie la vita a qualcun altro. Se però l’altro è fascista e chi uccide non porta una divisa allora la cosa può essere persino meritevole. Persino lo spot celebrativo delle Forze armate (finalmente un prodotto notevole per fattura e impatto emotivo) è stato contestato perché troppo guerresco. C’è chi, a sinistra, ha avuto l’umorismo di indicare la festa del 4 novembre come istituita dal fascismo. Va ricordato a questi “minus habentes” che la festa fu istituita con Regi decreti del 1919 e del 23 ottobre 1922. La marcia su Roma avvenne sei giorni dopo.



A parte queste amenità, il centenario è scivolato via come un pesce rosso buttato nel wc. Il comunicato apparso sul sito del ministero della Difesa enumerava tutti gli eventi del 4 novembre: a Roma cerimonia all’Altare della Patria con Frecce tricolori; Sacrario Redipuglia; Sacrario militare di Bari; Piazza Unità d’Italia a Trieste e di nuovo le Frecce tricolori; conferenze nelle scuole italiane per parlare del 4 novembre.

Il comunicato conclude “Tante quindi le iniziative organizzate per celebrare la giornata”. Tante? Non ci sarebbe voluta nemmeno uno sforzo di fantasia per farla diventare festa nazionale almeno per il centenario. Cadendo di domenica non avrebbe portato via nemmeno una giornata di lavoro.



L’evento più rappresentativo è stato certamente il discorso tenuto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, preso nel suo complesso, è esauriente e corretto. Ricorda con orgoglio la Vittoria ma non dimentica il fallimento della politica europea prima e dopo la guerra. “E il contributo del valoroso Esercito italiano fu determinante per gli esiti vittoriosi della coalizione alleata. Il fronte orientale fu il primo a cedere sotto la spinta italiana e a indurre gli Imperi centrali a sollecitare l’armistizio. Seguì, una settimana dopo, il fronte occidentale”.

Mattarella ha ricordato i militari impegnati in missione di pace, il ruolo delle donne, l’Italia che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali ma, ancora una volta, con una pecca grave: tacere dell’art. 52 della Costituzione che recita: “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”. L’unico dovere che la Costituzione definisce con tale termine: sacro. La stragrande maggioranza del popolo italiano ignora del tutto questa parolina e il presidente Mattarella, custode della Costituzione, lo sa molto bene. Non si tratta di “amare la guerra”, ma di capire che è preferibile essere morti che schiavi. O no?

E negli altri paesi cosa sta accadendo per l’11 novembre? In Francia la data è festa nazionale da sempre e sarà l’occasione per un incontro al vertice con più di cento capi di Stato tra i quali anche Sergio Mattarella. Alle 11 precise tutte le campane delle chiesa in Francia e Belgio suonano a distesa mentre Macron pronuncia un discorso all’Arco di Trionfo. Chiaramente la Francia e il Belgio sono cosparsi di cimiteri e mausolei e il giorno del ricordo dei caduti è contrassegnato dal fiordaliso: in Italia da che cosa? Ogni anno, alle 11 dell’11 novembre si fanno due minuti silenzio per i caduti delle due guerre mondiali.

Ancora più imponenti, se possibile, le celebrazioni per il Remembrance day nel mondo anglosassone. Chi si trovi a Londra in questi giorni vedrà le aiuole di Westminster punteggiate di poppies (papaveri) indicanti ognuno un reggimento, uno squadrone aereo, una nave di Sua maestà. La ricorrenza è vissuta ugualmente in Canada e in Australia.

A Londra sono finite da tempo le prenotazioni di 10mila posti per partecipare al corteo che porta al monumento ai caduti a Whitehall. Concerti e manifestazioni in tutto il paese sono indicati sui siti del governo britannico. Alle sei del mattino in duemila località in tutto il mondo le cornamuse hanno intonato il “Battle’s O’er”. Alle 18,55 le trombe suonano il silenzio in un migliaio di località nel globo mentre migliaia di bracieri si accendono in tutta l’Inghilterra. Le celebrazioni al memoriale canadese di VImy Ridge e a quello australiano di Villers Bretonneux sono da sempre molto partecipate anche da tantissimi ragazzi provenienti da quei paesi. Spettacolare l’evento affidato al regista Danny Boyle con migliaia di persone che tracceranno sulla sabbia delle spiagge inglesi i ritratti di decine e decine di caduti.

Le “tante iniziative italiane” fanno ridere storto e bisogna chiedersi come sia avvenuto questo sprofondamento della memoria con un presidente della Repubblica che, quasi certamente, non troverà il tempo di farsi un’ora e mezza di auto da Parigi a Bligny, vicino a Reims, per visitare il cimitero dove riposano 5mila italiani del II corpo d’armata, morti sulla Marna nel 1918. Tanto che ci frega a noi italiani se non sappiamo nemmeno che altrettanti francesi sono caduti per difendere il Monte Grappa?

Ora, questa ignoranza e questa sciatteria ci pongono in condizione di inferiorità rispetto a tutti i paesi sopra nominati, che — vien da sé — non ci rispettano.

Tra le cause si può nominare, questa volta con coerenza, il fascismo, tutta la prosopopea nazionalista del ventennio e tutta la cultura italiana del periodo. Noi avevamo un D’Annunzio, coraggioso, grande poeta ma inevitabilmente retorico che non si calava nelle sofferenze dei soldati. Gli inglesi avevano un Wilfred Owen e un Siegfried Sassoon che descrissero gli orrori della guerra continuando a parteciparvi, che demolirono il mito del “dulce et decorum est pro patria mori” continuando a combattere lo stesso. Owen morì sulla Sambre il 4 novembre 1918, tornato al fronte dopo una lunga convalescenza per una grave ferita.

La maturità britannica, che ancora fa cantare quell’inno stupendo “I vow to thee my country” sta forse nelle parole dello storico Liddell Hart che già nel 1930 aveva il pudore di scrivere: “Il giorno dell’armistizio è diventato più una commemorazione che una celebrazione. Il trascorrere del tempo ha fuso e purificato le prime, immediate emozioni, pur non essendo venuta meno in noi la sensazione dolorosa delle perdite umane che la guerra ci è costata. Né quella serena gratitudine per il fatto che come nazione ci siamo dimostrati capaci di far fronte alla più grave crisi della nostra storia”.

La strada è questa: un giorno del ricordo di tutti i caduti, anche di quelli delle guerre fasciste, anche di quegli italiani che combatterono nella Repubblica Sociale. Paradossalmente, solo questa memoria condivisa rivaluterà la stessa Resistenza dalla quale è nata questa Repubblica. Ma si tratta, ormai, di far riemergere un continente scomparso sott’acqua. Il nostro paese non ha più un passato e non ha più un futuro.

(2 – fine)