L’Appello “a tutti gli uomini liberi e forti”, col quale il 18 gennaio del 1919 don Luigi Sturzo lanciava il Partito popolare, e di cui si è celebrato nei giorni scorsi l’anniversario, costituisce la sintesi della vocazione politica di Luigi Sturzo. Chiedendo di “cooperare ai fini superiori della Patria”, in vista del “migliore avvenire della nostra Italia”, il sacerdote calatino ebbe il grande merito di trasformare, dopo cinquant’anni di Non expedit, la questione cattolica in questione nazionale, inserendo i cattolici nella vita dello Stato per restituire l’Italia a se stessa, alla sua vocazione, alla sua italianità



Nato all’indomani della presa di Roma, nell’anno in cui Roma diventava capitale del Regno, la genesi dell’impegno politico e intellettuale di Sturzo si colloca proprio nel contesto di quello che Passerin d’Entrèves ha definito “cattolicesimo risorgimentale”, quel laboratorio di idee che vedrà sorgere una nuova generazione di cattolici tra cui Toniolo, Murri, impegnata, negli anni immediatamente successivi all’unificazione, nel portare un contributo originale ad un processo risorgimentale contraddittorio e incompiuto. Un tema, questo, evocato proprio nell’Appello del 18 gennaio del ’19, allo scopo di sottolineare i meriti della Prima guerra mondiale nel lungo processo di completamento del Risorgimento di una nazione che ora “per virtù dei suoi figli, nei sacrifici della guerra ha con la vittoria compiuta la sua unità e rinsaldata la coscienza nazionale”.



Ed in effetti, l’Italia aveva non solo compiuto la sua unità, con la conquista di Trento e Trieste, ma, in particolare dopo Caporetto, aveva saputo realizzare un’unità di intenti e di spirito, che aveva consolidato la fragile coscienza nazionale post-unitaria. E tuttavia, questo processo era ancora manchevole per via del carattere elitario e borghese dello Stato liberale. Serviva insomma una partecipazione inclusiva delle masse, all’interno di una nuova concezione statale che mutasse sostanzialmente il rapporto conflittuale tra Stato e libertà, nella misura in cui lo Stato costituiva il “fine ultimo assoluto di ogni attività degli associati, legge a se stesso, principio di ogni altra ragione collettiva”.

Proprio in questo Sturzo ravvisava gli estremi per un passo nuovo, un partito popolare che richiedeva ai cattolici l’acquisizione di una personalità politica, capace, da una parte, di vincere il pregiudizio laico proprio di tutta una tradizione liberale, che ha voluto ridurre la religione a un semplice fatto individuale, e dall’altro di superare nella coscienza cattolica i retaggi di un passato conservatore e clerico-moderato, per inserirsi in maniera nuova e viva nella coscienza del paese. Fu una rivelazione! 

L’“invenzione dei cattolici in politica”, secondo la felice espressione di Rumi, costituiva un avvenimento epocale, nella prospettiva di una nazione che grazie al contributo dei cattolici, anticipando “i nuovi segni dei tempi”, avviava la riconciliazione con se stessa e con la sua tradizione più autentica, non per tornare indietro ma per andare più lontano, verso una compiuta democrazia che mettesse al centro la persona e allargasse la partecipazione ai corpi intermedi.

La questione romana e cattolica andava così incarnata per Sturzo in un progetto che restituiva all’Italia il suo patrimonio genetico più proprio, ovvero l’italianità, quella capacità di essere portatrice di un complesso universale di valori e di principi, che costituiscono il tessuto profondo del nostro popolo e di cui l’“Italietta” liberale non era stata all’altezza. Sturzo poteva così concludere il suo appello: “Ci presentiamo nella vita politica con la nostra bandiera morale e sociale, inspirandoci ai saldi principi del Cristianesimo che consacrò la grande missione civilizzatrice dell’Italia; missione che anche oggi, nel nuovo assetto dei popoli, deve rifulgere di fronte ai tentativi di nuovi imperialismi, di fronte a sconvolgimenti anarchici di grandi Imperi caduti, di fronte a democrazie socialiste che tentano la materializzazione di ogni identità, di fronte a vecchi liberalismi settari, che nella forza dell’organismo statale centralizzato resistono alle nuove correnti affrancatrici”.

L’universalismo di Sturzo ravvivava così la coscienza di un’Italia quale grande nazione pacifica, legata a doppio filo all’ideale di Wilson nella comune aspirazione al riconoscimento dei diritti universali degli uomini e dei popoli.

Un programma, quello lanciato nel ’19, che costituirà la piattaforma ideale dei cattolici nella resistenza al fascismo, la cui “bandiera, dirà Sturzo, dovrà essere la democrazia e il suo scopo il secondo Risorgimento […] la nuova epoca in cui l’italianità troverà se stessa”. E tuttavia, nonostante la nascita della repubblica e la conduzione politica dei cattolici, l’Italia realizzava solo in parte l’obiettivo prefissato da Sturzo, a causa di una cultura cattolica troppo spesso ideologica e statalista, divenuta negli anni Sessanta e Settanta subalterna a quella gobettiana e azionista. Quest’ultima, da parte sua, considerava il progresso civile e democratico in antitesi all’italianità, rea di non aveva saputo accogliere il protestantesimo di Lutero e la svolta della Rivoluzione francese. Da qui la tesi secondo cui la storia italiana era negativa proprio perché italiana, e di cui il fascismo costituiva un’autobiografia della nazione.

Il fallimento della Democrazia cristiana e la crisi di sistema che ne nascerà dovrà leggersi soprattutto in questo. Non a caso, Baget Bozzo poté osservare con rammarico: “scoprimmo che mancava un progetto politico democristiano sull’Italia, che il linguaggio della Dc e quello precedente alla Dc era relativo alla questione cattolica, non alla questione nazionale. Con una sola eccezione rilevante: Sturzo”. 

In un momento storico in cui l’Italia è attraversata da pulsioni sovraniste e populiste e nel quale l’Europa sembra ridursi ad un comitato d’affari, fare memoria di Sturzo significa saper riconquistare la grande eredità trasmessaci dal padre dell’impegno politico dei cattolici, recuperando nel patrimonio della nostra tradizione italiana una risposta che sia all’altezza delle sfide attuali.