Questa volta per arrivare a palazzo Chigi i sindacati non hanno dovuto fare prima tappa al Viminale. I leader di Cgil, Cisl e Uil sono stati ricevuti dal premier Giuseppe(i) Conte, il quale ha illustrato loro le linee generali della manovra, promettendo un percorso di confronto con le parti sociali nel tortuoso cammino che dovrà condurre, entro la fine dell’anno, all’approvazione della Legge di bilancio 2020. “Non vogliamo realizzare – ha assicurato Conte – la manovra in maniera autoreferenziale: dobbiamo lavorare fianco a fianco per costruire un’Italia più equa, più verde, più inclusiva e che riattivi il motore della crescita economica e dello sviluppo sociale”. Tuttavia, “il quadro economico internazionale si conferma difficile, la guerra dei dazi e le tensioni commerciali – ha spiegato il premier – sono ormai anche per noi una questione molto attuale”. “Nell’impostare la manovra – ha proseguito -, pur tutelando la solidità dei conti pubblici, abbiamo cercato di essere quanto più espansivi possibili in questo contesto”.



“Evitare l`aumento delle clausole già di per sé ha un forte impatto, che andrà a sommarsi – ha sottolineato – anche alle misure di sostegno ai redditi familiari, come anche il taglio al cuneo fiscale su cui oggi inizieremo a ragionare più dettagliatamente, e anche a una meticolosa azione di sblocco degli investimenti ancora fermi per accelerare la spesa su questo fronte”. All’uscita, i dirigenti sindacali hanno rilasciato dichiarazioni “distese” a prova che la luna di miele con il Governo giallo-rosso non è arrivata a termine. Preso atto di una volontà dell’esecutivo di proseguire il confronto, i sindacati hanno insistito sul taglio del cuneo fiscale come principale strumento per ridurre la tassazione sul lavoro.



Nel sostenere tale rivendicazione ne hanno ricordato (potevano essere da meno di Matteo Renzi?) i limiti delle risorse previste nella Nadef e richiesto l’allocazione di un più consistente apporto finanziario. In sostanza, anche da questo incontro è emerso il vero beef della manovra di bilancio. Sul lato della spesa esistono solo due voci: 23 miliardi per la cosiddetta sterilizzazione degli incrementi delle aliquote Iva già previsti dalla Legge di bilancio dell’anno in corso; 7 miliardi per tutto il resto.

Così nelle stesse ore in cui si svolgeva il vertice tra Governo e sindacati, la Confindustria presentava le consuete stime sull’andamento dell’economia. “Dalla NaDef (“ma per un giudizio bisogna aspettare la legge di bilancio come uscirà dal Parlamento”) al momento si profila – affermava Andrea Montanino, capo economista di viale dell’Astronomia – una “manovra parzialmente restrittiva, per circa 8 miliardi: se guardiamo alle risorse che vengono tolte o date all’economia reale”, quindi al netto delle risorse per sterilizzare l’aumento dell’Iva, il saldo è negativo per 0,5 punti di Pil, circa 8 miliardi, tra “uno 0,3% del Pil di impieghi all’economia reale ma uno 0,8% di misure correttive, restrittive”.



In sostanza, il clou della manovra è l’intervento sull’Iva, un’operazione che non lascia molti spazi per altre iniziative e che si basa sulla possibilità di ottenere flessibilità da Bruxelles per almeno 14 miliardi. Non solo: c’è una coincidenza non casuale tra i 7 miliardi disposti per finanziare le politiche che il Governo intende adottare e la somma attribuita al recupero dell’evasione, attraverso il potenziamento dell’utilizzo della moneta elettronica (sulla scorta del buon esito, sul piano delle maggiori entrate, della fatturazione elettronica). Per farla breve il bilancio è “incaprettato” dalla decisione politica di eliminare l’incremento dell’Iva.

È stata una scelta saggia fare dell’imposta sul valore aggiunto, la più importante delle imposte indirette, una sorta di Santo Sepolcro da conquistare (Dio lo vuole!) con nuove Crociate? Oppure, come ha sostenuto Tito Boeri, si è trattato soltanto di procrastinare una scelta che prima o poi dovrà essere compiuta? In una recente intervista l’ex titolare del Mef, Giovanni Tria, ha spiegato che, prima della crisi, i suoi uffici stavano lavorando su di una ipotesi differente: “Disinnescate le clausole di salvaguardia – sono parole di Tria – sarebbe stata mia intenzione proporre una qualche rimodulazione dell’Iva, specie per le aliquote agevolate, che avrebbe potuto dare un gettito di circa 8 miliardi da impiegare nella riduzione delle tasse sulle persone”. In questo modo – secondo l’ex ministro dell’Economia – la finanza pubblica, contenendo il deficit intorno al 2%, avrebbe tranquillizzato i mercati e avrebbe potuto dare una spinta alla crescita.

“Non dimentichiamo, infatti, che un moderato aumento dell’Iva – ha proseguito l’ex ministro – oltre a essere raccomandato dall’Ue, non avrebbe effetti inflazionistici, mentre la riduzione delle tasse sul lavoro avrebbe potuto davvero dare nuovo slancio ai consumi”. Era questa l’intenzione iniziale di Conte e del ministro Gualtieri, prima che scattasse l’ukase congiunto di Luigi Di Maio e Matteo Renzi. Ma almeno il primo non ha criticato il Governo per aver stanziato (conseguentemente) risorse troppo modeste per il taglio del cuneo fiscale.

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