Siccome siamo tutti economisti e fiscalisti, lo hanno chiamato “taglio del cuneo fiscale“. Che è un po’ come chiamare “frutto di colore paglierino e dalle dimensioni cilindriche ricurve” la comune e semplice banana. Sì perché la prima cosa che colpisce nell’accanito dibattito che è in corso in questi giorni sui vari media intorno alla prossima manovra di bilancio è che (anche) questo Governo non sembra davvero in grado di parlare come mangia. Siamo sempre nelle terre di mezzo, tra Lenin e Lennon, per dirla con una metafora. E allora lo facciamo noi, e pazienza se qualcuno storcerà il naso perché siamo imprecisi. Tanto imprecisi lo siamo per natura, per fortuna.
Quindi: dicesi taglio del cuneo fiscale il taglio delle tasse che lo Stato si piglia sui nostri stipendi. Che poi queste tasse ce le paghino i nostri datori di lavoro e non noi direttamente, poco importa. Ma finalmente anche noi, noi dipendenti, noi lavoratori comuni, a stipendio fisso potremo godere del taglio delle tasse che il precedente Governo giallo-verde, aveva concesso ai tantissimi piccoli e micro imprenditori.
La differenza, se vogliamo, è che Salvini & Co, avevano tagliato le tasse ai tanti che hanno, diciamolo così, una certa qual propensione al fai da te nel campo del contribuire con le proprie tasse al bene comune. Il Governo Renzi & Co (notasi che “&Co” sono sempre gli stessi. Così come sempre gli stessi sono i due partiti tagliati fuori: la scialuppa della Meloni e il pàttino del Silvio nazionale) lo ha fatto per chi le tasse non può evaderle: non per moralità, ma per impossibilità. Oddio, al netto delle considerazioni etiche, se agli annunci seguiranno i fatti (il che, confessiamo, per l’Italia sarebbe già una qual straordinaria novità), i nostri stipendi dovrebbero, in misura diversa e graduale, aumentare. Non pagheranno i datori di lavoro, non pagheranno i lavoratori, pagherà lo Stato.
C’è chi dice che avremo aumenti di 100, chi di 200 chi si spinge fino a 1.500 euro all’anno. Speriamo che sia vero e che chi oggi ha stipendi da 800 euro al mese (facciamo un esempio: gli educatori delle cooperative, anche quelle sociali; i dipendenti delle tantissime aziende del pulimento, o del multiservizio), arrivi a cifre più decorose. Se poi chi guadagna 2.000 euro al mese se ne vedrà riconoscere solo 40, beh dispiace, ma da qualche parte bisogna cominciare ed è meglio cominciare da chi ha problemi con l’affitto che da chi ha problemi con l’iPhone.
Il ragionamento che i tecnici fanno però, non è frutto di una coscienza compassionevole, ma si fonda anche su solide basi economiche: rimettere qualche euro nelle tasche degli italiani significa sperare in una ripresa delle spese. Gli ultimi dati, infatti, rivelano che nell’ultimo anno nelle tasche delle famiglie sono entrati mediamente più soldi, ma che gli italiani, terrorizzati dalla situazione generale, e dal clima di continua rissa e di guerra virtuale dichiarata al mondo intero, hanno preferito risparmiare piuttosto che spenderli e ridare fiato al mercato interno.
D’altronde era stato così anche nel recente passato. Ma con qualche leggera differenza. Se vi ricordate il Matteo pre-Papetee e post-Mojito, infatti, aveva sostenuto che abbassare le tasse ai piccoli imprenditori avrebbe spinto costoro a pagare le tasse e quindi ne avremmo avuto tutti un beneficio. Il punto di dissenso, nostro almeno, era che non si capiva perché chi già spendeva 100 pagando 10 di tasse, avrebbe dovuto, pagando sempre 10 ma alla luce del sole, convincersi a spendere 200. Un conto della serva, se volete, ma che rende l’idea del perché nella flat tax, pensata e applicata anzitutto al popolo dei piccoli imprenditori, c’era insita una certa qual fregatura per tutti quelli che era da mo’ che erano salassati. E senza sentirsi chiedere permesso né dire grazie. Ora l’operazione taglio del cuneo fiscale ha, se non altro, il pregio di ristabilire un certo equilibrio.
Sì lo sappiamo: le imprese vorrebbero che il taglio riguardasse anche loro. Lo chiamano “incentivo allo sviluppo”. E noi saremmo pure d’accordo, ma ad alcune condizioni. La prima è che questo incentivo sia fatto con cifre che non toccano la parte dei lavoratori. La seconda che la legge preveda che le imprese stesse siano costrette, tramite contrattazione aziendale o territoriale, a ritornare quegli incentivi ai loro dipendenti. La terza che chi ne goda sia in regola con pagamenti e contributi. La quarta che contemporaneamente al taglio dei costi per le aziende si inserisca anche l’assegno previdenziale entro il cuneo fiscale. Insomma, che si taglino le tasse sulle pensioni e che si riesca finalmente a intervenire sulle pensioni più basse. Li chiamano gli incapienti, ma sono coloro che hanno redditi così bassi che non riescono neppure a ricevere aiuti. Il che, capite, è una bizzarria di questo nostro bizzarro Paese.
Ma torniamo al cuneo (non a Cuneo purtroppo, dove al limite si andava a fare il militare, ma che meriterebbe più di qualche visita, per quanto è bella). Decrittando, da aspiranti filologi, quel che a giorni alterni, a seconda cioè di chi parla e di dove parla, il Governo dichiara, ci è parso di intendere che Conte e la sua squadra stiano lavorando su due ipotesi, la prima delle quali prevede un taglio del cuneo fiscale sotto forma di credito d’imposta, che assorba il bonus Renzi da 80 euro, per consentire ai lavoratori di ottenere circa 1.500 euro in un’unica mensilità di luglio. La seconda, invece, contempla un taglio dei contributi a carico dei lavoratori, sempre con l’obiettivo di aumentare gli importi delle buste paga e rilanciare i consumi.
Inutile dire che sulla prima si sono scatenate le polemiche a partire da colui che aveva inventato gli 80 euro, il buon Renzi, risorto a vita nuova da qualche settimana. Così come, per la verità anche sulla seconda (per par condicio, of course). A ogni modo, è chiaro che il tipo di taglio delle tasse sul salario ci dirà anche molto su questo Governo e sulle sue scelte di fondo. A oggi Conte ha indicato in 2,5 miliardi di euro la cifra per questa operazione: non sono tanti, ma meglio che niente. Tanto più se il provvedimento del taglio delle tasse sui salari non fosse tutto inserito in una riforma fiscale complessiva: ogni intervento allora avrebbe al massimo la consistenza di un pannicello e neppure caldo.
Se poi qualcuno si illude che grazie a un provvedimento spot si è guadagnato il consenso elettorale delle famiglie e dei lavoratori, è bene che si disilluda al più presto. Did you remember Renzi? anche il giovin toscano aveva pensato che con 80 euro si sarebbe comprato il consenso generale. Ma aveva dimenticato che gli italiani dimenticano in fretta e che la divisa nazionale è “quel che è dato è dato, scurdammoce o’passato”!