Nuova vittima del metodo Hamer, il percorso alternativo per ‘curare’ il tumore e che non prevede le tradizionali cure a base di chemioterapia, radioterapia, chirurgia, né ricovero in ospedale nella fase che precede quella terminale. Marta Roncaglia psicoterapeuta e bioeticista 43enne di Udine, è morta per un cancro al seno all’ospedale Gervasutta dopo aver creduto fino alla fine di poter guarire grazie al metodo inventato dal medico tedesco dal quale prende il nome, Ryke Geerd Hamer (poi radiato dall’albo). Marta, come spiegato dall’azienda sanitaria ospedaliera, aveva rifiutato tutte le cure proposte “perché ha intrapreso questo percorso terapeutico alternativo. E ci ha sperato, con suo marito, fino alla fine”. Un destino beffardo, come spiega Corriere della Sera nell’edizione online, se si pensa che proprio la stessa psicoterapeuta per anni aveva accompagnato nell’ambito della sua professione decine di pazienti nella delicata fase finale della loro vita. eppure, per se stessa aveva invece scelto una cura alternativa, quella del metodo Hamer, che rifiuta tutto ciò che ha a che fare con la medicina tradizionale.
CURA CANCRO AL SENO CON METODO HAMER: MORTA PSICOTERAPEUTA
“Siamo riusciti a intercettarla nelle ultime fasi della sua malattia. Ed è stata ricoverata da noi per le cure palliative terminali l’ultima settimana. Per cui l’abbiamo semplicemente sollevata dal punto di vista sintomatologico”, hanno spiegato i medici che l’hanno presa in cura fino alla sua morte avvenuta lo scorso 30 aprile. I funerali della donna sono stati fissati a sabato mattina, alle 11, nel Santuario della Beata Vergine delle Grazie, in piazza Primo Maggio a Udine. Marta Roncaglia lascia il marito Marco Luporini e due figli piccoli di tre e cinque anni. La scelta di intraprendere le cure del cancro al seno che l’aveva colpita attraverso il metodo Hamer era stata condivisa anche dal marito, come spiega ancora la direzione ospedaliera. “Si tratta di un loro percorso familiare condiviso, sia lei che il marito erano assolutamente consapevoli e convinti di poter guarire da questa malattia fino all’ultimo”. Il suo desiderio sarebbe stato comunque di morire in casa, circondata dall’aggetto della sua famiglia, “ma le sue condizioni fisiche erano tali da impedire un percorso domestico e ha deciso di ricoverarsi”.