Nella giornata di oggi – lunedì 11 novembre 2024 – si celebra la Giornata nazionale delle cure palliative che da alcuni anni a questa parte è diventata un appuntamento fisso volto a sensibilizzare l’opinione pubblica su di un tema che diventa sempre più importante e che ancora oggi fatica a raggiungere l’altissimo numero di pazienti che ne avrebbero potenzialmente (e tecnicamente) diritto; ma prima di arrivare agli effettivi numeri e ai problemi dietro alla galassia delle cure palliative, occorre fare un passetto indietro per capire nel dettaglio di cosa stiamo parlando e perché si tratta di un aspetto sanitario fondamentale.
Per farlo possiamo rivolgerci alla legge italiana che ascrive all’universo delle cure palliative un insieme di “interventi terapeutici, diagnostici ed assistenziali” pensati per assistere fino all’ultimo momento un paziente diventato ormai incurabile a causa del suo quadro clinico pesantemente compromesso; il tutto con un chiaro riferimento anche all’assistenza rivolta anche al suo intero nucleo familiare.
Concretamente non esiste un corpus definito di cure palliative, ma rientrano in questa grande famiglia tutta una serie di interventi – tra quelli medici propriamente intesi, fino a quelli psicologici ed addirittura spirituali – pensati per rendere meno traumatica l’accettazione della morte da parte del paziente incurabile; precisando che di fatto non si tratta in alcun caso di interventi pensati per tardare o accelerare in alcun modo la morte del soggetto, escludendo sia i cosiddetto accanimento terapeutico, che l’eutanasia e il fine vita.
I numeri delle cure palliative: perché la maggior parte dei pazienti fatica ancora ad accedervi?
Insomma, le cure palliative altro non sono se non una serie di interventi pensati per migliorare la qualità della vita di pazienti terminali – ma possono essere attivate anche in uno stadio precoce della malattia il cui epilogo è certo – e dei loro familiari, riconosciute dalla stessa Organizzazione mondiale della sanità come una componente fondamentale ed immancabile dei sistemi sanitari nazionali: nel mondo si stima che siano circa 60 milioni le persone che avrebbero potenzialmente diritto alle cure palliative, ma di contro solamente un misero 10% (tecnicamente tra i 3 e i 7 milioni) dei pazienti riesce ad accedervi; in larga parte – ovvero più della metà – nei soli paesi ad alto reddito.
L’Italia – in questo paradigma delle cure palliative – risulta essere uno dei paesi mondiali più avanti a livello legislatorio, tra i primissimi a recepire le direttive Oms e con un impianto di norme che arriva a coprire anche a definire il non trascurabile aspetto formativo dei professionisti; ma di contro secondo delle stime più o meno ufficiali solamente un paziente oncologico su tre riesce ad averne accesso, con una percentuale che si riduce fino al 15% se ci soffermiamo sui soli 30mila minorenni afflitti da malattie terminali.
Il problema principale dietro alle cure palliative – almeno per quanto riguarda il caso italiano – è legato al più classico divario tra la domanda e l’offerta con pochi (per non dire pochissimi) operatori formati e specializzati; senza dimenticare che allo stato attuale si contano solamente 8 dei 20 hospice pediatrici che sarebbero necessari per prendere in carico tutti e 30mila i minori che ne avrebbero diritto: in tal senso, sia il PNRR – che già prevede l’obiettivo di raggiungere il 90% dei bisognosi entro il 2028 – che lo sviluppatissimo Terzo settore italiano potrebbero giocare un ruolo fondamentale per le cure palliative.