Il dibattito, che con una speciale insistenza sta martellando l’opinione pubblica in merito ad una possibile legge sull’eutanasia, ci dice che finalmente è arrivato il momento di entrare con molta più determinazione nello spirito della legge 38/2010, “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”. La norma, prima legge organica sulle cure palliative nel nostro Paese e in Europa, sottolinea come esse rappresentino l’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata che al nucleo familiare.
Sono interventi finalizzati alla cura dei pazienti la cui malattia è caratterizzata da una progressiva evoluzione a prognosi infausta, perché il paziente non risponde più a trattamenti specifici. Le cure palliative considerano anche la dimensione soggettiva della sofferenza e identificano nella relazione di cura lo strumento più efficace per aiutare il paziente a vivere nel miglior modo possibile, accanto alla sua famiglia. Ma le cure palliative, nonostante un’ottima legge, nonostante i progressi scientifici, nonostante le ripetute sentenze della Corte costituzionale che le pone in primo piano rispetto a qualsiasi altro tipo di intervento, non hanno mai goduto di un sistematico e adeguato finanziamento.
L’articolo 32 della Costituzione
Ed è per questo che oggi, alla vigilia del dibattito sulla prossima legge finanziaria, vogliamo richiamare l’attenzione dell’intero Paese su questo elementare diritto che l’art. 32 sancisce senza mezzi termini. “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. La Repubblica tutela, ma non garantisce la salute; quel che garantisce sono le cure gratuite a tutti. Eppure, questo diritto, l’unico di cui si afferma che sia un diritto fondamentale, è stato negli ultimi anni del tutto oscurato da un insufficiente finanziamento, tanto più inadeguato se si tiene conto di due fattori.
L’elemento di massima attrazione nel dibattito pubblico, animato da radicali, democratici di sinistra, M5S, più alcuni sedicenti cattolici adulti, è offerto dalla conclusione dell’articolo: nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La non-cura è sembrata occupare il dibattito più della stessa cura; la libertà di non curarsi ha riempito le pagine dei giornali, i Tg, i talkshow, ben più della sacrosanta libertà di curarsi. Si è perfino tentato di far passare la cura come accanimento terapeutico e la cura come radicale affermazione della propria volontà, che esige e pretende l’aiuto necessario a portare a termine il desiderio di suicidarsi. Paradossalmente l’assistenza al suicidio ha meritato gli allori della cronaca molto più dell’infinitamente più generoso lavoro dei caregiver, che stenta ad avere la sua legge di tutela.
Cure palliative: cosa sono e per chi
Le cure palliative inoltre rappresentano una vera e propria evoluzione del paradigma della cura, tanto più se si tiene conto di due fattori: l’attuale quadro demografico italiano, con la famosa piramide a base rovesciata, che ha invertito la proporzione giovani/anziani a favore di questi ultimi. E il quadro tecnico-scientifico che, pur avendo fatto grandi conquiste, in molti casi non è riuscito a guarire definitivamente molte malattie, e con il tempo ha innescato un processo di cronicizzazione, che ha cambiato la storia naturale della malattia.
Le due cose sono più collegate di quanto non appaia: la transizione demografica e i cambiamenti epidemiologici in atto, legati al crescente invecchiamento della popolazione, hanno determinato un forte incremento dell’incidenza delle patologie cronico-degenerative. L’invecchiamento della popolazione ha modificato la domanda di cura e le necessità assistenziali degli anziani che spesso convivono a lungo con patologie croniche e invalidanti.
Nei Paesi ad alto reddito, oltre il 70% della popolazione ha bisogno di cure palliative ben prima della morte. Il momento in cui si rende necessario il passaggio alle cure palliative con un diverso approccio al malato e alla sua famiglia è cruciale sia per la vita del singolo paziente che per l’intera sanità pubblica. Siamo davanti ad un bisogno in crescita, per cui le cure palliative non possono limitarsi all’assistenza dei malati di cancro in fase avanzata, come si era supposto all’inizio della tormentata storia delle cure palliative. I bisogni di cure palliative non devono arrivare alla fine di un processo diagnostico-terapeutico, quando si scopre che le terapie specifiche per la patologia in atto non sono più efficaci.
Le cure palliative storicamente venivano attivate tardivamente, nelle ultime settimane o addirittura negli ultimi giorni di vita, mentre oggi sono più correttamente accessibili al malato e alle famiglie lungo tutto il decorso della malattia e nella fase del lutto. Le persone anziane e quelle con demenza rappresentano la maggior parte. In Italia, l’incidenza nell’ultimo periodo di vita è di 293mila pazienti/anno, di cui il 60% con patologie croniche degenerative non oncologiche e il 40% malattie oncologiche. Le domande da porsi sono sostanzialmente tre: chi ha realmente bisogno di cure palliative, per definire il doppio profilo quali-quantitativo; chi è in grado di fornire cure palliative coordinando i vari interventi tra tutti gli operatori sanitari; quali sono i modelli organizzativi più efficaci per dare le migliori risposte possibili al maggior numero di persone che ne hanno bisogno (rapporto qualità/costi in un contesto di sostenibilità).
La Word Health Assembly (2021) ha dichiarato che le cure palliative costituiscono una forte responsabilità etica dei sistemi sanitari e una componente chiave della copertura sanitaria universale. Attualmente sono definite come cure mediche specializzate per persone affette da malattie gravi, che offrono ai pazienti sollievo dai sintomi, dal dolore e dal peso della loro malattia, qualunque sia la diagnosi. L’obiettivo è migliorare la qualità della vita del paziente e della sua famiglia. Sono erogate da un team di medici, infermieri e altri specialisti che lavorano insieme: sono cure mediche specializzate per ogni patologia e sono erogabili contemporaneamente al trattamento curativo.
Molti studi internazionali sostengono che la figura chiave per raggiungere questo obiettivo è l’Infermiere di famiglia e comunità, un professionista responsabile dell’assistenza infermieristica in ambito famigliare e di comunità. Una persona che dovrebbe saper intercettare tempestivamente i bisogni di cure palliative e fare da raccordo tra molteplicità degli operatori e varietà di modelli assistenza, nell’ambito della medicina e della assistenza palliativistica.
L‘Infermiere di famiglia è il primo riferimento domiciliare necessario per assistere persone e caregiver, attraverso il coinvolgimento dell’Unità Valutativa Multidisciplinare che permette di elaborare un Progetto Assistenziale personalizzato. E noi abbiamo un enorme bisogno di infermieri specialisti in un periodo in cui la loro vocazione professionale sembra essersi smarrita; avrebbero bisogno di vedere riconosciuta la loro professionalità, cresciuta in modo esponenziale in questi anni con una laurea triennale, che per la maggioranza è diventata magistrale, con master professionali di alto profilo; con una tesi di dottorato su fronti di ricerca totalmente innovativi. Ma proprio per questo avrebbero bisogno di vedere riconosciuti margini di autonomia professionale garantiti dalla nuova competenza e dal loro stesso codice etico e – ultimo, ma non ultimo – da un riconoscimento economico che veda in loro i protagonisti dell’assistenza domiciliare soprattutto nelle cure palliative.
Al SSN la valutazione del mix di casi particolari può consentire una migliore allocazione delle risorse economiche. Ma per questo è necessario porre una diagnosi rigorosa di “complessità” dei bisogni, attraverso una valutazione adeguata, multidimensionale e multiprofessionale. La complessità nelle cure palliative è definita in relazione a due elementi: quelli relativi alla condizione del paziente e della sua famiglia e quelli relativi agli scenari nei quali si svolge l’intervento, che comprendono i sistemi professionali e sanitari e le comunità.
L’assistenza domiciliare
L’assistenza domiciliare offerta attraverso le cure palliative da infermieri altamente qualificati è l’investimento di cui ha bisogno l’intero SSN. Non si tratta di costi, ma di investimenti che non possono misurarsi solo con il parametro economico, ma che hanno urgente bisogno di una rivisitazione di questo parametro, per riconoscere ad ogni lavoratore la giusta mercede. Oggi non è così e la diaspora degli infermieri lo conferma. Ma quella che ci preoccupa in modo drammatico è la potenziale diaspora dei malati, che lasciati soli, possano desiderare di lasciare questa terra per morire di quella strana paura che è la paura di essere abbandonati; la paura di soffrire di solitudine, di essere un peso per la propria famiglia, di cui nessuno si occupa e si preoccupa. Forse è arrivato il momento di preoccuparci più della legge 38/2010 che non della legge 219/2017, in cui si stabilisce che una persona deve dare il proprio “consenso libero e informato” ad ogni trattamento sanitario che la riguardi.
Sembra però che questa legge funzioni solo in modo negativo: ti do un consenso a non fare, mettendo tutto nel grande calderone dell’accanimento terapeutico!, e non il consenso alle cure che voglio e di cui ho estremo bisogno.
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