Chissà se passeggiando nei rue parigini e magari guardando nello zoo gli animali chiusi in gabbia, alla diciottenne Tippi non sale la nostalgia dei dieci anni passati in Africa, a stretto contatto con gli animali.
Tippi Degré, infatti, quando è nata il 4 giugno 1990 era già nel continente nero, precisamente a Windhoek, Namibia. Figlia di una coppia di fotografi francesi, la piccola Tippi è cresciuta lontano dalla civiltà, in libertà nella natura africana, in mezzo agli animali, che lei fin da piccola ha sempre avvicinato senza timore. E a documentare il suo rapporto con gli animali sono rimaste migliaia di fotografie, scattate dai suoi genitori, di cui 120 illustrano un libro uscito presso la casa editrice tedesca Ullstein, “Tippi aus Afrika”, presto in uscita anche in Inghilterra col titolo “Tippi: my book of Africa”. Ora della sua Africa le sono rimasti il sofà, un paio di credenze, i tappeti, gli orpelli, le foto e i ricordi. Nel bilocale in cui i suoi genitori si sono trasferiti a Parigi non c’è più spazio per i suoi amici. Abu, l’elefante trentenne che era il suo angelo custode e nel tempo libero faceva l’attore per i film di Disney; Linda, lo struzzo che la portava in groppa attraverso la savana del Kalahari, al confine tra Namibia, Sudafrica e Botswana, il loro sterminato giardino privato; Mufasa, il leoncino che si rotolava con lei. Quando Sylvie e Alain Degré, i suoi genitori, le spiegarono che dovevano partire, lasciare l’Africa, che il lavoro che li aveva portati lì come fotografi era finito e la loro vita sarebbe cambiata, per la bambina, che allora aveva dieci anni, fu un piccolo dramma. Tippi non rivolse la parola a nessuno per un mese. Mentre gli altri organizzavano il trasloco, lei taceva. Parlava soltanto con i suoi amici a quattro zampe. Spiegava loro che non sarebbe tornata, che il tempo dei giochi e delle corse era finito. «Ognuno di noi ha un dono. C’è chi sa scrivere, chi fotografare, come mamma e papà, chi recitare, come Abu. Io parlo con gli animali. Lo so che mi chiamano piccola Mowgli. Ma io non uso la voce. Capisco cosa i miei amici mi vogliono dire da uno sguardo, dal modo in cui muovono le piume, alzano un zampa, usano gli artigli», racconta Tippi nel libro di cui è protagonista. E le foto che illustrano la sua infanzia da “piccola Mowgli” da questo punto di vista sono molto impressionanti, oltre a possedere un pregio artistico.
Dunque la piccola aveva sviluppato un sistema di comunicazione basato non su segnali vocali, ma sullo sguardo e su precisi gesti di intesa: «Parlo loro con la testa o con gli occhi – aggiunge Tippi – con il cuore o con l’anima, e vedo che mi capiscono e mi rispondono. Si muovono o mi guardano, e si potrebbe dire che ricambiano i messaggi con lo sguardo. Infatti, sono sicura di riuscire a parlare con loro. In questo modo faccio conoscenza con loro, e a volte diventiamo proprio veri amici». Gli animali si comportano con confidenza nei suoi confronti, si lasciano toccare e giocano insieme: «Non ho mai avuto paura degli animali – racconta la ragazza che in mezzo alle bestie ha trascorso la sua infanzia – capita a volte che rimango impressionata. Ma questo è tutt’altra cosa. Si può dire che io conosca gli animali, perché ci sono nata in mezzo. Poi mamma e papà mi hanno istruita sulle bestie pericolose. Ad esempio un cobra giallo, se tu lo tocchi sei morta, al contrario di un pitone». Scrive ancora nel suo libro: «Sono molto felice di chiamarmi Tippi Benjamine Okanti Degré. Okanti significa marmotta o anche mangusta. Io appartengo quindi alla famiglia delle marmotte. Questo è un popolo meraviglioso. Trascorrono tutta la propria vita prendendosi cura l’una dell’altra, Completamente da sole non se la cavano, ma insieme sono molto più forti di molti altri animali. E per questo sono i re della tenerezza. La tenerezza delle marmotte è qualcosa di totalmente diverso».
Anche la scelta degli altri nomi non è casuale: Tippi viene dall’attrice Tippi Hedren, amata protagonista del cult supremo di Hitchcock, Gli uccelli; Benjamine, più semplicemente, dal nome di un amico di famiglia.
Così Tippi, nel suo zoo senza gabbie né confini, ha vissuto come in un documentario, per volere dei suoi genitori. È stata infatti la coppia di fotografi francesi a decidere di fare della propria figlia la protagonista di un lungo studio fotografico e cinematografico sui rapporti tra i bambini e la natura. Un documentario che ha fatto, e fa ancora, il giro dei network e delle copertine dei magazine.
Una scelta non irresponsabile, quanto ai pericoli di un rapporto così stretto con animali anche feroci, perché gli animali erano stati adottati in una delle sterminate fattorie della Namibia, magari perché si erano perduti ed erano rimasti senza famiglia, e quindi addomesticati. «C’era qualcosa di magico nel vederla interagire con gli animali – ricorda la madre Silvye – Eravamo soli, noi tre, gli animali e qualche tribù locale. In più, lei dimostrava una singolare predisposizione. Le pareva di riuscire a comunicare con gli animali. Era convinta di avere le loro stesse dimensioni anche quando erano giganteschi pachidermi, e che fossero veramente i suoi amici». Così la piccola Tippi non aveva paura a salire in groppa all’elefante dopo un discorso fatto di silenzio e sguardi che comprendevano solo loro. Poi c’era lo struzzo Linda che si prendeva cura della piccola umana come se fosse sua figlia: l’animale abituato a correre quasi non si muoveva quando aveva in groppa Tippi per paura di farla cadere. «Ma gli animali crescono in fretta – racconta la madre – Quando il leone Mustafa era un cucciolo, Tippi ci giocava come se fosse un gattino. Un anno dopo lui le faceva ancora le feste, ma bastava che la lisciasse con la coda per farla cadere. Così fummo costretti a separarli. Fu molto triste, ma non ero più tranquilla, anche senza volere il leone poteva ferirla».
Ora che “la piccola Mowgli” ha diciott’anni, ha terminato il baccalaureato a Parigi e si è iscritta alla Sorbona. Indovinate il suo sogno nel cassetto? È appassionata di cinema e vorrebbe tornare in Africa a girare dei documentari. Tra i suoi animali.



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