Corrado Mastantuono, Topolino compie dunque ottant’anni. Qual è il segreto del duraturo successo di questo personaggio?
La longevità di un personaggio è sempre un mistero. Per Topolino questo mistero è ancora più grande, perché nessuna delle sue qualità avrebbe mai fatto pensare che un personaggio di questo tipo potesse durare tanto a lungo. È un mistero che avvolge anche molti dei protagonisti del fumetto italiano, uno su tutti Tex Willer.
Diciamo che dietro Topolino è anche stato costruito tutto un mondo fatto di parchi a tema, di animazione, di marketing. Topolino è diventato un simbolo, la Diseny ha portato avanti in questo senso più lui di ogni altro suo personaggio.
Com’era il Topolino delle origini rispetto a quello attuale?
Topolino nasce e si sviluppa in un periodo molto difficile per l’America. Nei primi anni, per stessa dichiarazione di Disney, si rifà al mito di Charlot, Charlie Chaplin. Agli esordi avrebbe quindo dovuto solo rappresentare un esserino scanzonato, un birbone che ne combina di ogni e si limita ai soliti cliché. Le storie dei primi anni sono dunque molto semplici, per altro Topolino non si distacca dalle figure dei suoi analoghi: è, in fondo, una costola di Felix the Cat o di Oswald the Rabbit. Si tratta di cartoni tutti molto simili in realtà, sono tutti neri e con grandi occhi. Si cambiano loro praticamente solo le orecchie in quanto rappresentano differenti animali.
Ma poi le cose sono cambiate
Successivamente la forza di Topolino fu quella di trovare uno spazio incredibile nell’ambito dei cartoni animati. Vinse infatti subito un Oscar e ciò suscitò una vastissima eco. Furono gli anni in cui il personaggio iniziò a incarnare il risveglio dell’America dopo la crisi nera del ventinove. Divenne a un certo punto e a tutti gli effetti un portabandiera di Roosevelt nella sua politica della nuova America.
E dal dopoguerra? Che cosa ha iniziato a rappresentare?
Negli anni seguenti Topolino ha faticato un po’ di più rispetto agli altri personaggi. Mentre Paperino è più facilmente spendibile perché sfortunato, simpatico, sbruffone, rabbioso, Topolino risulta sempre il “perfettino” che fa la cosa giusta, che risolve il caso. È quindi difficile trovare delle storie che non lo rendano così antipatico.
In questi ultimi anni ci siamo posti seriamente il problema di come rinverdire Topolino e tornare a farlo diventare quello che era agli esordi, un po’ più “scemottino”. Abbiamo cercato di renderlo protagonista di storie dove lui non figurasse per forza come il “superintelligentone”. Per ottenere ciò abbiamo ideato avventure nelle quali fosse Pippo a risolvere i casi investigativi, quasi sempre per sbaglio, in stile Clouseau.
Personalmente qual è l’aspetto che le piace di più di Topolino?
Da disegnare è molto divertente.
Se parliamo di caratteristiche fisiche Topolino è un concentrato di rotondità. È costruito tutto partendo da tondi, da cerchi. È un cerchio il suo corpo da cui deriva questa pancetta che si ritrova, e che poi si sviluppa in una sorta di pera, è un tondo la testa, sono un tondo le orecchie, è davvero molto divertente. Tra l’altro le proporzioni sono proprio rimaste tali e quali rispetto a quelle degli inizi.
Come personaggio ha dato modo a noi disegnatori di esplorare mondi pseudorealistici perché comunque le sue storie, spesso intrise di giallo e di avventura, si sono spesso ambientate un po’ fuori dai confini di Topolinia e ci siamo divertiti a metterlo nella giungla, nel futuro, nello spazio, in qualsiasi circostanza. E lui, da personaggino serio qual è, ha reso addirittura quasi credibili queste storie
Come è nata la sua passione per i fumetti e per il disegno?
Né più né meno rispetto a come è nata nei ragazzini di oggi che hanno la passione per i manga, per i fumetti giapponesi. Quando ero piccolo io c’era Topolino e leggevo Topolino. Anzi, lo leggevo ancora prima di imparare a leggere, vedevo le figure e interpretavo le storie come mi pareva. È proprio un imprinting che mi porto dietro. In età adolescenziale mi sono poi allontanato. Ma poi il destino ha voluto che ci incontrassimo nuovamente.
John Lennon diceva che i Beatles erano più famosi di Gesù. La ritengo una frase blasfema, ma in un certo senso esprime la soddisfazione (è quasi un onore) che mi dà il lavorare per un personaggio così famoso. Avere il modello di Topolino, raffigurarlo, colorarne i vestiti è davvero affascinante. È come, in fondo, lavorare per tutti i marchi famosi, ad esempio per la Coca Cola.
Rispetto ai fumetti di Topolino di qualche anno fa molti trovano le storie disneyane un po’ più indirizzate verso il “politically correct”. È d’accordo con questo tipo di percezione?
La parte “peggiore” della censura disneyana è avvenuta intorno agli anni ottanta. Poco prima ci fu un periodo di “zona franca” in cui era consentito disegnare quasi di tutto. Anche allora era un principio sbagliato. Ci sono scene a dir poco raccapriccianti: Paperino che mangia un pollo (cannibalismo?) o con una mannaia in mano. Ricordo una storia in cui alcuni indigeni venivano chiamati sprezzantemente “negri”. Se pensiamo all’effetto che queste scene, giustamente, potrebbero scatenare al giorno d’oggi c’è da mettersi le mani nei capelli. Poi arrivò il periodo del riflusso. Non si poteva praticamente fare più nulla. A me addirittura censurarono, all’inizio degli anni ’90, una librata che Zio Paperone dava in testa a Paperino. Era proibita qualunque forma, seppur minima o comica, di violenza. Arrivarono addirittura a proibire il sigaro, che per Gambadilegno rappresenta un’irrinunciabile iconografia.
Passato questo “purgatorio” si è poi tornati a una mediazione molto più sana in un senso e nell’altro.
Topolino può essere anche un fumetto e un personaggio educativo?
Certo, ma non si può pretendere che sostituisca l’educazione dei genitori. Faccio un esempio: qualche tempo fa rappresentai un mio personaggio (Bum Bum Ghigno) nell’atto di raccogliere del latte da terra. Per compiere questa azione, dal momento che si trattava di un soggetto molto rozzo, utilizzava una spugna e poi strizzava il latte nel piatto. Be’, mi arrivò la lettera di un avvocato che di un padre di famiglia il cui figlio aveva ripetuto la stessa azione. È evidente che, in un caso simile, il problema risieda in famiglia, non certo nei nostri disegni. È però chiaro che episodi simili ci spingono a divenire sempre più prudenti perché volenti o nolenti i nostri personaggi spesso sono dei modelli per i loro piccoli lettori.