La celebrità rischia di cambiare un uomo, di allontanarlo dagli affetti più cari e dalle cose che contano davvero. Sono innumerevoli le storie che narrano vicende umane di questo tipo e non tutte approdano ad un lieto fine. Ciò che conta è sapere che una strada per tornare a casa c’è sempre, è davanti a noi, basta prenderla e iniziare il cammino.
Ricordate ET, quel buffo personaggino in cerca di un gettone telefonico? Diventò famoso capitando per caso sul set di un giovane ed eccentrico regista statunitense, intento a girare un documentario sulla guerra del Vietnam nei pressi di Cinisello Balsamo, progetto che abbandonò per riprenderlo successivamente.
Egli, raggiunta la notorietà, si dimenticò di ogni affetto e non fece più ritorno sul suo pianeta, deludendo e gettando nello sconforto amici, parenti, animali domestici.
Per documentare il lato oscuro della celebrità siamo riusciti ad ottonere un’intervista telefonica in esclusiva con una delle figure più significative dell’infanzia di ET, il cugino, del quale ometteremo il nome per non creare ulteriore danno ad una esistenza già provata e per una oggettiva impossibilità a pronunciarlo con un unico apparato vocale.



Possiamo iniziare?

Sì, ho poco tempo però, devo prendere un raggio traente per recarmi al lavoro.

La prima domanda che desidero farle riguarda gli anni in cui ET era un giovane marziano di belle speranze, voi eravate molto legati?

A quei tempi si viveva praticamente insieme. Le nostre famiglie abitavano nello stesso cratere di periferia e si condivideva tutto. Giocavamo a “cattura il Bricefalo”, un essere del tutto simile ad un porcospino ma iscritto a tre sindacati contemporaneamente, e facevamo il filo alle ragazze passeggiando su e giù dalle dune desertiche. Insomma una vita semplice e fondata su una solida morale. Eravamo amici, anche se poi…



Poi venne il cinema e tutto finì.

In realtà tutto ebbe inizio. Il fenomeno dell’emigrazione verso la Terra non è una novità per la nostra specie. Ogni anno migliaia di noi trovano un impiego sul vostro pianeta in particolare nel’ambito degli uffici del fisco e nelle grandi strutture finanziarie. Ma io ed ET sognavamo di diventare calciatori e durante i weekend lui sgattaiolava alla velocità della luce sul vostro pianeta per seguire il campionato italiano.
Fu quando una domenica sera perse l’ultimo teletrasporto che, cercando di mettersi in contatto con i familiari perché venissero a riprenderlo, si trovò nel posto giusto al momento giusto e incontrò Steven. Mentre io restai qui, passando la mia vita nell’anonimato e nel rimpianto di un’amicizia perduta.



Una storia commovente e tragica. Ha avuto sue notizie da allora?

Non l’ho più rivisto ma ho saputo che, dopo la parentesi cinematografica, si appassionò alla tv e, partito da una piccola televisione locale, creò un network televisivo. Pare abbia anche acquistato una squadra di calcio e si sia dato alla politica, ma sa il quartiere è fervido di immaginazione e alla fine ET resta una figura mitica per molti dei nostri giovani.

E di questo passato di amicizia a lei cosa resta?

A parte un disintegratore molecolare che mio cugino dimenticò a casa mia e una fotografia che ci ritrae insieme travestiti da ortaggi, non mi resta che una profonda malinconia e un senso di vuoto.

Se potesse parlare con lui, ora, dopo tanti anni, cosa direbbe?

Non saprei, è difficile. Gli direi che questa resta sempre casa sua, la sua famiglia, il suo cratere, e che certe amicizie, nonostante tutto, restano sempre vive. Sì, gli direi questo.

Nota della redazione

Poche ore dopo la pubblicazione di questa intervista, abbiamo ricevuto un messaggio destinato al cugino di ET che riportiamo integralmente:

Perdonami. Consentimi di compiere un gesto che possa, sia pur tardivamente, riparare alla mia grave mancanza verso il sangue del mio sangue. Vienimi a trovare, qui c’è un posto per te come velina. E riportami il disintegratore, potrebbe servirmi presto.
Tuo per sempre ET

(Camillo Dellabassa)