Non lo sopporterà nessuno là sotto in fondo al mare. Nemo, poveretto, senza farlo apposta si è perduto e smarrendo la strada ha dato inizio a una delle avventure più irresistibili e meglio rappresentate della Walt Disney in associazione con la Pixar. E il grande successo de “Alla ricerca di Nemo” (“Finding Nemo” nella versione originale), che nel 2003 ha ottenuto il maggior incasso di tutti i tempi nella categoria “cartoon” e un premio Oscar l’anno dopo, ha costituito per i pesci pagliaccio un vero e proprio flagello. Se il film, oltre che un’opera d’arte, voleva essere una denuncia al sequestro di pesci per farne pezzi d’arredamento in prigioni domestiche, l’effetto è stato esattamente opposto: così carino Nemo e la sua vocina attira-coccole che i bambini di tutto il mondo, tornati a casa dal cinema, hanno chiesto e ottenuto dai genitori un pesce-come-quello-del-film per metterlo nell’acquario della loro cameretta. Il commercio si è gonfiato ed ecco che ora la specie del pesce pagliaccio rischia l’estinzione.



Sono stati i naturalisti a lanciare l’allarme, più precisamente un biologo marino britannico, Billy Sinclair, docente alla University of Cumbria, che ha trascorso gli ultimi cinque anni a studiare i pesci pagliaccio delle barriere coralline australiane. Ha affermato che il numero di esemplari è calato addirittura del 75% e «per essere salvato dall’estinzione – afferma lo scienziato – dovrebbe essere immediatamente classificato come specie a rischio». Lo stesso Sinclar ha precisato poi che anche i pesci bianco-arancioni dei mari della Gran Brategna vengono sfruttati nella stessa maniera: ogni anno ne vengono prelevati circa 100 mila dalle loro candide anemoni. Circa la metà viene allevato in cattività, ovvero di fatto nasce già in un acquario, ma il restante 50% viene da un mare o da un oceano, abbastanza per estinguere i bellissimi pesci pagliaccio.

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