Le pettole sono un dolce tipico pugliese; si preparano specialmente nel giorno di Santa Cecilia, il 22 novembre, e di conseguenza caratterizzano il periodo di Natale. La leggenda narra che il giorno di Santa Cecilia  una donna si alzò come di consueto, per preparare l’impasto per il pane. Mentre l’impasto lievitava sentì un suono di ciaramelle, si affacciò e vide gli zampognari che arrivavano. Come ipnotizzata da quella melodia scese per strada e si mise a seguire gli zampognari per i vicoli della città.
Quando tornò a casa si accorse che l’impasto era lievitato troppo e non poteva più essere usato per il pane, e che nel frattempo anche i suoi figli si erano svegliati e reclamavano la loro colazione.
Senza lasciarsi prendere dalla disperazione, la donna mise a scaldare dell’olio e cominciò a friggere dei pezzettini di pasta che nell’olio diventavano palline gonfie e dorate che piacquero molto ai suoi figli. I piccoli curios le chiesero: “Mà, come si chiaman’?”- e lei pensando che somigliavano alla focaccia ( in dialetto detta “pitta”) rispose: “pettel'” (ossia piccole focacce).
Non ancora soddisfatti i figli chiesero: “E ‘cce sont?” – e lei vedendo che erano molto soffici rispose: “l’ cuscin’ du Bambinell” (i guanciali di Gesù Bambino).
Quando finì di friggere tutto l’impasto, scese per strada coi suoi bambini, felici e soddisfatti, per offrire le pettole agli zampognari che con la melodia delle loro pastorali avevano reso possibile quel miracolo.
La leggenda riflette una realtà povera, di gente semplice che preparava una pietanza gustosa e nutriente a partire dai prodotti disponibili e più economici. Le donne, per preparare le pettole, si procuravano “u luat” (piccolo panetto di pasta cresciuta, usata come lievito) – si alzavano verso le due di notte per , “trumbà” (impastare)  la pasta, operazione che richiedeva tempo e forza di braccia, perché di solito le pettole costituivano il pranzo e la cena e le dosi superavano di molto il chilo di farina, dato che dovevano sfamare famiglie numerose “cu na morr’ di figghije” ( con tanti figli).
Per questo l’impasto si preparava “int’ u limm’” (grande coppa in terracotta smaltata all’interno). Finito di impastare, si lasciava lievitare la pasta coprendo il limmu con una “manta di lana” (una coperta) in un luogo caldo, di solito vicino al camino o vicino “a fracassè” (antica cucina a legna, con caldaia), comunque al riparo da spifferi e correnti d’aria che ne rallenterebbero la fase di lievitazione, determinante per la riuscita delle pettole.
Di  stretta competenza di nonne, mamme e zie, la preparazione delle pettole, rende l’attesa della festa un momento di interessata partecipazione e avvicendamento ai fornelli.




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Ingredienti

•    1 kg di farina
•    400 g di patate lesse
•    1 lievito di birra
•    sale
•    zucchero semolato

Preparazione

Si versa la farina in una ciotola molto capiente, e si unisce la patata precedentemante lessata, sbucciata e passata, un pizzico di sale marino fino e il lievito di birra sciolto in un bicchiere di acqua tiepida. Si impasta il tutto aggiungendo poco per volta l’acqua necessaria ad ottenere una pastella molto morbida. Si lascia quindi lievitare la pasta per un’ora ponendo la ciotola in un luogo caldo e non ventilato. Successivamente si riscalda l’olio che servirà per friggere le pettole. Con l’aiuto di un cucchiaio, si prende una manciata di pasta dalla ciotola formando una pallottola, e la si getta nell’olio ben caldo: le Pettole si dovranno gonfiare immediatamente e dovranno friggere per pochi secondi, giusto il tempo di dorarsi, girandole sia da un lato che dall’altro. Si lasciano quindi asciugare su carta assorbente prima di servirle ancora molto calde e di intingerle nello zucchero semolato.
 



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