Il povero Albert è morto nell’ospedale di Princeton nel 1955, ma il suo cervello non ha ancora trovato pace. Anzi, continua a cooperare con la Scienza e ad essere fonte di continua ricerca. Il patologo Thomas Harvey, infatti, dopo l’autopsia fece dell’encefalo del fisico tedesco l’oggetto di un’indagine volta a carpire i segreti della sua genialità. Il suddetto dottore, in barba alle ultime volontà del defunto e per il bene della scienza e di tutti noi prese il cervello, lo trattò per la conservazione, gli scattò una serie di fotografie e poi lo affettò in 240 sottili campioni ad uso e consumo degli studiosi, conservando il rimanente sottovuoto. Nel 1998 Harvey, non avendo scoperto nulla, restituì le scienti-reliquie nelle mani del Princeton Medical Center, che le conserva tutt’ora. E la ricerca continua.
Da cinquant’anni, dicevamo, l’illustre materia grigia viene esaminata sotto i microscopi. Ecco cosa ne è emerso: il cervello di Einstein non ha dimensioni maggiori degli altri, però i lobi parietali, considerati sede delle facoltà matematiche, musicali e del linguaggio, sono più ampi del normale di circa il 15% (Sandra Witelson, McMaster University di Hamilton). Inoltre Einstein non aveva un solco (chiamato la scissura di Silvio) e si è pensato che proprio questa assenza permettesse ai neuroni di comunicare tra loro più facilmente. Ulteriori ricerche (Marion Diamond, 1985, università della California) avevano invece dimostrato che anche la densità del suo cervello era fuori dal comune, mentre la sua corteccia cerebrale era più sottile. Il professor Colombo, sul numero di settembre di Brain Research Reviews ha pubblicato uno studio nel quale lo ha confrontato con quello di altri 4 individui, morti alla stessa età dello scienziato e senza sintomi neurologici o psichiatrici noti. Ne è risultato che «gli astrociti [cellule cerebrali] di Einstein si rivelano di dimensioni maggiori e si evidenzia un maggior numero di masse terminali interlaminari, che raggiungono la dimensione di 15 micron di diametro. Condizione di significato sconosciuto spesso descritta nel disturbo di alzheimer». Se non fosse che lo studio è viziato a monte (non sappiamo la variabilità naturale delle dimensioni degli astrociti; Einstein formulò le sue teorie da giovane), potremmo quasi dire che Einstein era geniale perché aveva un cervello da malato di Alzheimer!
Ma la ultima ipotesi formulata sull’encefalo d’oro arriva in questi giorni dall’Università della Florida per bocca della paleontologa Dean Falk. La dottoressa, famosa per gli studi sull’evoluzione cerebrale dei primi uomini, ha rispolverato le fotografie del dottor Harvey e ne ha tratto «interessanti» conclusioni: sempre sui lobi parietali (quelli più grandi del 15%), ha identificato almeno una dozzina di “anomalie”. Ci sarebbero infatti rilievi e solchi che potrebbero far pensare ad una riorganizzazione diversa dagli standard e frutto o causa ipotizzabile delle straordinarie capacità intellettuali. Poiché come già detto questa è la zona deputata alla cognizione spaziale, matematica e visiva, Falk ipotizza che ciò abbia favorito l’intuizione scientifica e la particolare abilità di concettualizzare i problemi della fisica proprie di Einstein, il quale infatti raccontava di pensare con immagini e sensazioni piuttosto che con le parole.
Come già per gli altri studi sull’argomento, però, bisogna tener presente che i risultati di queste ricerche sono ipotesi abbastanza speculative. Lo testimoniano i primi commenti di altri neuroscienziati, alcuni piuttosto scettici sia sul fatto che possa essere la struttura del cervello individuale a determinare l’intelligenza e la creatività, sia sulle modalità con cui viene studiato la materia grigia del grande fisico.
In effetti, benché probabilmente questa indagine (ci permettiamo, un pelino morbosa) sul cervello del nostro Albert non si fermerà mai, ci domandiamo se giungerà un domani ad un qualche risultato concreto e utile, che esuli dalla mera curiosità.
E ci chiediamo anche cosa penserebbe proprio Einstein di tutto questo affaccendarsi sulla sua materia grigia. Magari, vedendo che nessuno ancora ha scoperto cosa l’ha reso così speciale, farebbe la linguaccia..