La Nasa non è poi così inviolabile. Almeno per “Stakkato”, un hacker svedese di soli 16 anni che per un anno ha impazzato tra le reti informatiche del governo americano. La notizia è stata resa pubblica solo recentemente da New York Times e Wall Street Journal, ma i fatti risalgono all’aprile del 2004, quando l’allora teen-ager Philip Gabriel Patterson dalla sua Svezia è riuscito a violare la sicurezza di diverse agenzie federali.



Si è infiltrato nientemeno che nei sistemi informatici dell’ Ames, il  centro di ricerca della Nasa. Secondo l’accusa statunitense, «l’Ames svolge un ruolo cruciale in tutte le missioni spaziali della Nasa». Non contento, prima di essere beccato, il ragazzo ha avuto accesso per mesi ai computer del Jet Propulsion Laboratory della Nasa a Pasadena e in una base di caccia F-18 della U.S Navy nel Maryland. E non sfugge all’elenco delle sue scorribande neanche un centro per i test missilistici del Pentagono in New Mexico. Secondo i portavoce delle varie istituzioni colpite, però, non ci sarebbero danni alla sicurezza nazionale, perché gli accessi sarebbero avvenuti su reti non classificate.



Ora l’avventura di Stakkato è giunta al termine: oggi ha 21 anni e a marzo è stato incriminato a Uppsala, in Svezia. I suoi computer sono stati sequestrati e il ragazzo è stato lasciato in libertà, ma sotto stretto controllo dei genitori. Gli investigatori americani e svedesi non escludono però che abbia avuto complici e indagini sono in corso in vari paesi europei.

Ma come ha fatto il giovane hacker a “crakkare” tante difese informatiche? Secondo gli esperti che gli hanno dato la caccia, lo studente svedese non ha utilizzato tecniche d’attacco innovative, ma è stato particolarmente bravo a creare sistemi automatici per l’individuazione delle chiavi d’accesso alle reti protette. Ha iniziato perforando le difese di TeraGrid, un network ad alta velocità che collega laboratori di ricerca in tutti gli Usa. In particolare si è introdotto in un sistema informatico realizzato dalla società Cisco Systems, uno dei colossi che producono le infrastrutture di Internet, con sede a San Josè in California. L’hacker si è impadronito di istruzioni di programmazione della Cisco e ha avuto accesso a catena a una serie di server collegati in rete, rubando password una dopo l’altra. Il meccanismo gli ha permesso di ottenere sempre maggiori autorizzazioni all’accesso e di conseguenza altre password per aggirarsi nei network più delicati del governo americano. La diffusione sul web delle informazioni riservate sui sistemi Cisco ha particolarmente preoccupato gli investigatori. La società, però, in un comunicato ha detto di ritenere «che la pubblicazione impropria di queste informazioni non crei un incremento di rischio per i network dei propri clienti».



Ad ogni modo, ora per ciascuno dei suoi cinque capi di imputazione, Petersson rischia fino a dieci anni di prigione e una multa di 250mila dollari.

In fondo gli è andata meglio che all’altro hacker, Gary Mac Kinnon, Gran Bretagna: nel 2006 riuscì a violare la sicurezza dei sistemi Nasa e affermò di aver trovato prove sull’esistenza degli alieni. Ovviamente la Nasa smentì ogni cosa e richiese la sua estradizione, chiedendo per lui fino a 60 anni di carcere duro.