Agli utenti dei social network capita spesso di pubblicare commenti, anche negativi, che riguardano il proprio lavoro, senza risparmiare talora i colleghi o addirittura i capi. E un caso è finito al centro di una battaglia legale negli Stati Uniti.
La dipendente di una società di ambulanze ha scritto sulla sua pagina di Facebook che il suo supervisore è uno «psicopatico», ed è stata licenziata. L’ufficio sindacale Usa ha presentato però un esposto, in cui si afferma che criticare i capi, anche online, sarebbe un diritto riconosciuto dalle leggi federali. In quello che magistrati e avvocati vedono come un caso innovativo che coinvolge lavoratori e social network, il National Labor Relations Board americano ha accusato un’azienda di avere licenziato illegalmente una dipendente dopo che questa aveva criticato il suo capo sulla sua pagina di Facebook.
Questo è il primo caso in cui l’ufficio sindacale Usa affronta la nuova questione, chiedendosi se le critiche dei lavoratori ai loro capi o aziende sui siti di social network siano generalmente un’attività protetta e se i datori di lavoro violerebbero la legge punendo i lavoratori per queste dichiarazioni. L’ufficio per le relazioni nei sindacali ha annunciato la scorsa settimana di avere presentato un esposto contro una società che gestisce ambulanze, l’American Medical Response del Connecticut, che aveva licenziato un tecnico per le emergenze mediche, accusandola tra le altre cose di avere violato una regola interna che impedisce ai dipendenti di descrivere la loro azienda in qualsiasi modo su Facebook o su altri social network nei quali sono pubblicate le loro foto.
Come riferisce il New York Times, Lafe Solomon, in qualità di consulente generale dell’ufficio, ha dichiarato: «Questo è un caso semplice e lineare che ricade sotto il National Labor Relations Act. Sia che ciò avvenga su Facebook o alla macchinetta del caffè, i dipendenti hanno il diritto di parlare insieme delle loro condizioni di lavoro, anche come in questo caso a proposito del loro supervisore». La legge Usa fornisce ai lavoratori il diritto, protetto dallo Stato federale, di formare dei sindacati, e proibisce agli imprenditori di punire i lavoratori – appartenenti o meno ai sindacati – per il fatto di discutere delle condizioni di lavoro o delle azioni sindacali. L’ufficio Usa ha dichiarato che la regola dell’azienda relativa a Facebook era «eccessivamente estesa» e limitava illegalmente i diritti dei dipendenti di discutere tra di loro.
Inoltre, l’ufficio ha criticato un’altra regola dell’azienda, che proibisce ai dipendenti di fare commenti «dispregiativi» o «discriminatori» a proposito della loro azienda o dei capi e colleghi. L’esposto dell’ufficio ha richiesto a Morgan, Lewis & Bockius, uno studio legale con un’ampia pratica di diritto sindacale e del lavoro e che rappresenta centinaia di aziende, di mandare una consulenza legale sintetica ai suoi clienti, in cui si affermi: «Tutti i datori di lavoro del settore privato dovrebbero tenerne conto», a prescindere dal fatto che «le loro forze di lavoro siano rappresentate o meno da un sindacato». E lo studio legale ha aggiunto: «I datori di lavoro dovrebbero rivedere le loro regole interne su Internet e i social network per stabilire se richiedano un allegato in cui si precisi che tali codici interni potrebbero “tendere ragionevolmente a moderare i dipendenti” nell’esercizio dei loro diritti di discutere salari, condizioni di lavoro e attività sindacali».
L’American Medical Response del Connecticut ha smentito le affermazioni dell’ufficio sindacale, affermando che sono fuori luogo. «L’impiegata in questione è stato licenziato sulla base di diverse e gravi lamentele sul suo comportamento – ha dichiarato la compagnia -. La dipendente era inoltre ritenuta responsabile di attacchi personali negativi contro un collega, postati pubblicamente su Facebook. L’azienda ritiene che le dichiarazioni offensive contro il collega non fossero attività sindacali protette dalla legge federale». Il caso riguarda Dawnmarie Souza, che ha dovuto preparare una lettera di risposta alle lamentele di un cliente relative al suo lavoro. Souza, ha dichiarato l’ufficio, era scontenta per il fatto che il suo supervisore non aveva consentito che a preparare la risposta fosse un rappresentante di Teamsters, il sindacato cui sono iscritti i lavoratori dell’azienda.
Souza ha quindi deriso il suo capo su Facebook, utilizzando diverse volgarità per ridicolizzarlo, secondo quanto afferma Jonathan Kreisberg, direttore dell’ufficio di Hartford, che ha presentato l’esposto. Kreisberg ha dichiarato che Souza avrebbe scritto tra l’altro: «E’ bello vedere come l’azienda consente a un 17 di diventare un supervisore». E nel linguaggio dei soccorritori delle ambulanze, 17 indica in gergo un paziente psichiatrico. In attesa della sentenza, resta aperta la questione: le aziende dovrebbero avere il diritto di stabilire e rafforzare delle regole aziendali su quello che si può o meno pubblicare on-line su di loro? O i commenti sui social network dovrebbero essere protetti da ogni possibile sanzione disciplinare nei confronti dei lavoratori?
(Pietro Vernizzi)