Crisi greca – La crisi del debito greco ha radici lontane ma esplode, nei fatti, nell’arco di pochi mesi, settimane addirittura. La vulgata ufficiale vuole infatti che il 2009 portasse con sé il primo caso di recessione dell’economia ellenica dal 1993: le stime sul deficit attribuivano al paese un tasso del 12,5 per cento sul Pil, la disoccupazione toccò il 9,6 per cento e il debito pubblico quota 113,4 ma con un’aggravante di stime per l’anno successivo, ovvero il 2010, del 120,8 per cento, record negativo europeo. Insomma, un quadro inquietante nel già sconfortante panorama globale post-subprime e post-Lehman: uno studio della Euler Hermes sul finire del 2009 prevede per l’anno successivo un incremento dei fallimenti di aziende in Grecia del 15 per cento.



Alla luce di questa situazione, nel mese di dicembre del 2009, il presidente greco George Papandreou utilizza la vittoria elettorale per dichiarare pubblicamente il rischio di default del paese: peccato che – e questo spiega il perché non è credibile la vulgata che vuole la crisi come una qualcosa uscito dal nulla dopo sedici anni – ancora nel mese di novembre, prima di dover ammettere la verità di fronte all’Ue, il governo greco cercò per l’ennesima volta di ristrutturare il proprio debito utilizzando i servigi di alcune banche d’affari, tra cui Goldman Sachs, che proposero uno strumento di finanziamento in grado di ridurre – a loro dire – il debito per l’assistenza sanitaria, utilizzando un metodo finanziario simile a chi garantisce i pagamenti della sua la carta di credito con dei mutui ipotecari.



Atene disse no a questa proposta che avrebbe consentito di occultare il debito ancora per qualche tempo, sia perché ormai il ghiaccio si stava sciogliendo sotto i piedi sia perché questa strada fu già tentata, senza dir nulla a Bruxelles, nel 2001, quando Goldman Sachs costituì dei veicoli particolari – uno dei quali denominato Eolo – che assumevano le passività in cambio di impegni su introiti futuri del governo greco e consentiva di non farli contabilizzare nel bilancio pubblico: insomma, una bella partita di giro che fece ulteriormente incancrenire la situazione.

All’inizio di quest’anno, la resa dei conti. Le agenzie di rating statunitensi smisero di reggere il gioco alla politica di occultamento posta in essere dalla banche d’affari al prezzo di parcelle milionarie ed eseguirono il downgrading del rating sovrano greco, di fatto spalancando le porte al rischio di default e alimentando i timori per un contagio greco verso le altre nazioni europee e forte indebitamento pubblico, tra cui Irlanda, Spagna, Portogallo e Italia: la speculazione internazionale ma anche le banche tedesche e francesi particolarmente esposte in Grecia e presso sussidiarie elleniche, cominciarono a fare man bassa di cds sul debito sovrano dei cosiddetti paesi Pigs facendone impennare il valore in punti base e quindi innescando una cavalcata dei differenziali delle obbligazioni di questi paesi rispetto al benchmark europeo, ovvero il Bund tedesco.



 
 

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La tenuta stessa dell’eurozona era a rischio: nei primi giorni di maggio, dopo aver detto no ad un analogo provvedimento per intervenire sulla crisi del debito irlandese, l’Ue insieme al Fondo Monetario Internazionale ha definito un pacchetto si salvataggio di 110 miliardi di euro in tre anni alla Grecia, soldi pagati dai vari Stati membri in ossequio al rischio di contagio e di effetto domino.

Per ottenere questo fondo, il governo greco vara un pacchetto di riforme e tagli draconiani da 4,8 miliardi di euro che alimenta fortissime tensioni sociali sfociate in scioperi generali (durante uno dei quali si registrano le prime vittime, una donna incinta e due dipendenti di una banca data alle fiamme con bottiglie incendiarie) e altre forme di protesta. Il governo greco non arretra e il 5 agosto, alla fine della prima verifica trimestrale, Ue-Bce-Fmi promuovono il piano di risanamento del governo Papandreou, di fatto avallando lo sblocco della seconda tranche di aiuti.

Nel frattempo, però, nel Paese si susseguono manifestazioni e blocchi del settore trasporti (navi e aerei durante l’estate per colpire, masochisticamente, la prima voce del Pil greco, il turismo), divenuti di fatto strutturali dal mese di settembre in poi con Atene e Salonicco paralizzate da camion lungo il loro perimetro e lavoratori in piazza. La strada per evitare il default sarà irta di difficoltà e molto lunga, così come la sequela di errori e omissioni che ha portato alla crisi greca.