Circa 230mila morti per tre disastri naturali nell’arco di soli cinque mesi: i terremoti di Haiti e Cile e l’alluvione in Pakistan. Il primo dei tre è la scossa di magnitudo 7 che si è scatenata nell’isola dell’America Centrale il 12 gennaio scorso, provocando 222.517 vittime, 310.900 feriti e oltre 1,5 milioni di sfollati.



IL TERREMOTO CON PIU’ MORTI… – Quello di Haiti è il terremoto che ha causato in assoluto più morti negli ultimi 500 anni. Nella storia si conoscono solo due terremoti dalle conseguenze più disastrose: quello del 1556 nello Shaanxi, in Cina, il cui bilancio è stato di 830mila vittime, e quello del 526 ad Antiochia, nell’attuale Turchia, che falciò 250mila vite. Il 27 febbraio invece in Cile è stata registrata una scossa ancora più forte, di magnitudo 8,8, durata per ben tre minuti consecutivi.



… E QUELLO PIU POTENTE – Il sisma ha liberato un’energia 1.000 volte superiore rispetto al terremoto di Haiti, risultando inoltre 30mila volte più intenso di quello dell’Aquila del 2009. La Nasa ha rivelato che il terremoto del Cile è stato così potente che ha spostato l’asse di rotazione terrestre di 8 centimetri, riducendo in modo permanente la durata del giorno solare di 1,26 microsecondi. Il bollettino ufficiale del governo cileno parla di 521 morti, mentre gli sfollati sono in totale 2 milioni. Per magnitudo, il terremoto del Cile è stato il settimo più potente della storia, almeno dal 1500 a oggi.



LE INONDAZIONI IN PAKISTAN – Altre duemila persone sono state invece uccise dalle inondazioni in Pakistan iniziate nel giugno scorso. A causare le inondazioni sono state le pesanti piogge monsoniche nelle regioni di Khyber, Pakhtunkhwa, Sindh, Punjab e Beluchistan. E la colpa è di una particolare anomalia climatica che nasce e si sviluppa nel Pacifico, El Nino, un periodico e anomalo surriscaldamento della superficie del Pacifico Tropicale Centrale e Orientale. E secondo il New Scientist la causa delle piogge eccezionali sarebbe il congelamento di alcune correnti terrestri chiamate «a getto», un fenomeno che avrebbe causato ondate di calore senza precedenti e incendi boschivi in Russia, così come le inondazioni in Gran Bretagna del 2007.

CAPITALE IN MACERIE – Ad accomunare le tre tragedie sono anche le difficoltà della ricostruzione. A cinque mesi dal terremoto di Haiti per esempio, il 98% delle macerie non era ancora stato rimosso. Circa 20mila metri cubi degli edifici della capitale Port Au Prince erano ancora impraticabili e migliaia di cadaveri si trovavano ancora tra i detriti. Il numero delle persone ancora nei campi profughi realizzati con tende improvvisate era pari a 1 milione e 600mila, e non era stata praticamente costruita neanche una casa provvisoria. Situazione difficile anche in Cile, il cui ex presidente Michelle Bachelet ha dichiarato che il Paese avrà bisogno di prestiti internazionali e tre-quattro anni per la ricostruzione. Il terremoto ha infatti distrutto o seriamente danneggiato centinaia di migliaia di case, spezzato ponti e autostrade e sfasciato moderni palazzi nei sobborghi della capitale.
 

AGRICOLTURA DEVASTATA – Anche a causa dello tsunami seguito al terremoto, le città costiere e i villaggi del Cile sono stati infatti demoliti, provocando seri danni in una vasta area del Cile centro-meridionale, inclusa la seconda città più popolosa del Paese, Conception. Mentre in Pakistan, in seguito alle inondazioni, sono stati sommersi 69mila chilometri quadrati dei terreni agricoli più fertili. Le conseguenze per l’agricoltura, pari a 2,9 miliardi di dollari, faranno sì che nel 2011 si registrerà una massiccia riduzione della produzione di cibo. E il 24 settembre scorso la Fao ha quindi annunciato che circa il 70% della popolazione pakistana non ha più accesso a un’adeguata alimentazione.

UNA RICERCA «PROFETICA» – Delle tre catastrofi inoltre, almeno quella di Haiti e Pakistan sarebbero state previste. Una ricerca realizzata dal professor Patrick Charles del Geological Institute of Havana nel 2008 sosteneva la forte probabilità che si verificasse un terremoto a Port-au-Prince. Come scrive il sito newsfood.com, per il professor Charles, la capitale di Haiti sarebbe attraversata da una grande faglia che fa parte della Zona della faglia Enriquillo. Già nel 1751 e nel 1771, Haiti era stato completamente raso al suolo da un terremoto. Per documentare la veridicità della sua teoria, Charles aveva registrato lievi scosse in Petionville, Delmas, Croix des Bouquets e La Plaine. Le scosse sono segnali premonitori dell’imminenza di un terremoto. Tra gli altri terremoti verificatisi ad Haiti, la distruzione del Palais Sans Souci vicino a Citadelle nel 1842, mentre nel 1946 la Repubblica Dominicana fu colpita da una scossa di magnitudo 8.

«SARA’ UNA CATASTROFE» – Commentava quindi profeticamente il professor Charles nel 2008, anticipando quanto verificatosi a Port Au Prince: «Questo significa che il livello di aumento dello stress energetico della Terra potrebbe un giorno sfogarsi in un sisma di 7.2 o più gradi della scala di Richter. Causando un evento di proporzioni catastrofiche in una città senza regole edili e con abbondanti baraccopoli costruite in anfratti e altri posti sconvenienti». E aggiungeva l’esperto: «La scienza ci ha fornito gli strumenti che ci aiutano a predire questi tipi di catastrofi e ci mostrano come siamo arrivati a queste conclusioni».

L’ALLARME DEGLI AMBIENTALISTI – Mentre per quanto riguarda l’alluvione in Pakistan, come scrive l’Herald Scotland, l’abbattimento della maggior parte degli alberi presenti sul territorio avrebbe aggravato il disastro. Le piogge intense che scendono sulle montagne, se avessero incontrato dei boschi, non avrebbero dato luogo a profondi torrenti. Il fango infatti sarebbe stato rallentato, e in buona parte fermato, dagli alberi prima che arrivassero nelle pianure abitate da milioni di persone. Per le associazioni ambientaliste pakistane, costrette finora al silenzio dal governo, all’origine della deforestazione ci sarebbe nientemeno che la mafia del legname che conterebbe su appoggi nel Parlamento pakistano. Fatto sta che le inondazioni erano abbondantemente prevedibili. Numerosi gli allarmi lanciati dagli ambientalisti, sempre però ignorati dal governo.

(Pietro Vernizzi)