Ll 31 agosto scorso il presidente Usa, Barack Obama, ha annunciato la fine delle ostilità in Iraq, dichiarando che «è tempo di voltare pagina» su uno dei capitoli più decisivi della storia americana. Una scelta storica, che giunge a sette anni e mezzo dal fatidico 20 marzo 2003, quando il suo predecessore George W. Bush invase il Paese governato da Saddam Hussein.



IL DISCORSO DI OBAMA – Nel suo discorso dallo Studio ovale Obama ha sottolineato di avere così rispettato il suo impegno, preso in campagna elettorale, di concludere una guerra cui si era opposto fin dall’inizio. «Sono qui per annunciare che la missione di guerra dell’America in Iraq è terminata – ha aggiunto -. Fuori dalle ceneri della guerra, un nuovo inizio può sorgere dalla culla della civilizzazione». Il presidente ha quindi rimarcato che «questo momento storico giunge in una fase di grande incertezza per gli americani». Per poi ricordare in tono solenne che l’Iraq «ha l’opportunità di abbracciare un nuovo destino anche se restano molte sfide da affrontare».



4.400 SOLDATI MORTI – Nel corso della guerra è stato infatti dispiegato in Iraq un milione e mezzo di militari, molti dei quali ritornati al fronte più volte. Oltre 4.400 soldati sono morti e 32mila sono rimasti feriti. Le necessità della guerra hanno costretto gli Usa a spendere 740 miliardi di dollari, molti di più di quelli stimati inizialmente.

SCELTA COERENTE – Come ha spiegato a Ilsussidiario.net l’inviato di guerra Fausto Biloslavo, le cause della decisione di Barack Obama sono molteplici. «In primo luogo il motivo è che l’attuale presidente Usa è sempre stato contrario alla missione in Iraq e, coerentemente, ha sempre detto di volere riportare i soldati a casa. Inoltre, combattere su due fronti, Iraq e Afghanistan, è un problema anche per una potenza mondiale come gli Stati Uniti». Ma soprattutto, aggiunge Biloslavo, «il ritiro americano non è una fuga, arriva in un momento in cui le cose in Iraq stanno volgendo al meglio, gli attentati rispetto al 2007 si sono ridotti di dieci volte e la situazione consente quindi una diminuzione della presenza delle truppe».



 

LE ELEZIONI DI MID TERM – Infine non bisogna dimenticare le elezioni Usa del 2 novembre, per rinnovare una parte del Parlamento: siccome la maggioranza degli elettori democratici sono contrari alla guerra in Iraq, Obama ha pensato a una mossa per ingraziarseli. Ma il ritiro dall’Iraq è anche l’inizio di una nuova strategia Usa sugli scacchieri planetari. Obama ha infatti da poco presentato la sua nuova Strategia di Sicurezza Nazionale, un documento di 52 pagine che cerca di bilanciare quanto annunciato durante la campagna elettorale con la difficile realtà internazionale. «Per avere successo, dobbiamo confrontarci con il mondo così com’è», è scritto nel documento che mette la parola fine ai sogni di Bush di riscrivere l’ordine mondiale.

LA STRATEGIA DI SICUREZZA – Il documento contiene un duro monito a Iran e Corea del Nord, si concentra sugli estremismi che nascono in madrepatria, sottolinea che la minaccia più grave per gli americani è data dalla proliferazione nucleare. E ammette che l’America è «in difficoltà per la guerra» e per una devastante crisi economica, e quindi non può sostenere guerre contemporaneamente su più fronti. E come ha rivelato inoltre dalle colonne del Giornale di Sicilia il generale dei Carabinieri, Vittorio Barbato, «sono in molti a chiedersi che ne sarà dell’Iraq nel 2011, quando la sicurezza del paese verrà affidata unicamente alle sue forze armate e di polizia, non ancora pronte ad affrontare la pericolosa guerriglia interna non del tutto debellata».

UN PAESE SENZA GOVERNO – Anche perché le truppe americane abbandonano (almeno in parte) un Paese totalmente privo di un governo. A otto mesi dalle elezioni politiche del 7 marzo, il parlamento irakeno infatti non è ancora riuscito a scegliere un esecutivo, e secondo molti analisti non ci riusciranno ancora per parecchio tempo. Per il generale Barbato comunque «gli americani hanno subito forti perdite in Iraq, ma la situazione strategica in quella delicata area mediorientale è tutt’altro che migliorata anche perché l’indebolimento dell’Iraq ha rafforzato la minacciosa presenza iraniana, contraria all’occidente e agli Usa».

I COLLOQUI DI PACE – Fatto sta che la fine della guerra in Iraq prelude anche a una nuova strategia americana in Medio Oriente. Solo tre giorni dopo la fine delle ostilità, il 3 settembre scorso, Obama ha incontrato i leader di Giordania, Egitto, Israele e Palestina nella East Room della Casa Bianca. E ha dichiarato loro: «Possiamo arrivare alla pace in Medio Oriente in un anno. Israeliani e palestinesi non devono lasciarsi sfuggire questa opportunità». E ha concluso Obama: «Sono fiducioso, con cautela, ma sono fiducioso».

(Pietro Vernizzi)